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Scacco al re

Giorgio Bernardelli
1 dicembre 2010
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Scacco al re
Il presidente Usa Barack Obama con re Abdullah d'Arabia.

Se in Europa la bufera Wikileaks alla fine sembra non andare oltre il pettegolezzo, più seria è la questione delle ricadute in Medio Oriente dei file carpiti dalle ambasciate americane di mezzo mondo. In particolare è l'Arabia Saudita, questa volta, ad essere finita nell'occhio del ciclone. Vediamo perché.


Se in Europa il ciclone Wikileaks alla fine non sembra andare oltre il pettegolezzo, più seria è la questione delle ricadute in Medio Oriente dei file carpiti dalle ambasciate americane di mezzo mondo. In particolare è l’Arabia Saudita, questa volta, a essere finita nell’occhio del ciclone.

Come è stato scritto, nei file di Wikileaks trova conferma il fatto che il re saudita Abdullah avrebbe sollecitato l’amministrazione americana a bombardare l’Iran per fermare il programma nucleare di Ahmadinejad. Non è una tesi nuova: se ne parla da tempo e del resto non è un mistero per nessuno che Riyadh veda Teheran come il fumo negli occhi. Ma la novità sostanziale è che a confermare questa posizione del re saudita ora sarebbero anche i rapporti interni inviati al Dipartimento di Stato.

Si capisce – quindi – l’imbarazzo dei sauditi: per un giorno Arab News, il quotidiano di Riyadh, ha fatto finta che i file di Wikileaks non esistessero. Poi – ieri – ha ospitato una dichiarazione di una fonte ufficiale, che non ha voluto commentare «l’autenticità o la credibilità dei documenti», aggiungendo che comunque la posizione dell’Arabia Saudita «è sotto gli occhi di tutti». Per non saper né leggere né scrivere, poi, Arab News ha aggiunto di suo un commento in cui si sostiene che i documenti rivelati sono insignificanti.

Per capire che si tratta di una difesa imbarazzata e molto debole basta leggere il commento scritto sulla vicenda da Rami Khoury sul quotidiano libanese The Daily Star. Si tratta di una presa di posizione molto dura nei confronti dei leader arabi citati nei documenti di Wikileaks (il riferimento è anche ad Abu Mazen e Mubarak, che sarebbero stati pre-informati dell’attacco israeliano a Gaza nel dicembre 2008). «È scioccante vedere governi arabi che hanno speso centinaia di miliardi dollari per acquistare armi dagli americani e da altri Paesi stranieri – scrive Khoury – ritrovarsi così vulnerabili e timorosi di fronte a quella che definiscono la crescente potenza e influenza iraniana sulla regione». La bordata al re saudita non poteva essere più chiara.

Dal punto di vista dell’opinione pubblica araba Abdullah esce malissimo da questa vicenda. E questo potrebbe pesare nelle lotte di potere per la successione all’interno della famiglia al Saud. Già qualche settimana fa il Washington Institute for Near East Policy, il think-tank neocon che analizza tutto ciò che succede nell’area, aveva segnalato in questa chiave la nomina di Mitab, il figlio dell’anziano e malato Abdullah, alla guida della Guardia nazionale dell’Arabia Saudita. In questi giorni – poi – l’ottantaseienne monarca di Riyadh si è recato di nuovo negli Stati Uniti per nuove cure. La partita sulla sua successione è comunque molto lunga: prima di Mitab a salire al trono toccherebbe comunque ai fratelli di Abdullah. Ed è a questo livello che si gioca lo scontro rispetto alla linea dell’attuale monarca che ha preso le distanze dalle correnti più fondamentaliste. Non è difficile immaginare – dunque – che i file di Wikileaks verranno molto comodi a chi sta giocando questa partita contro di lui.

Ed è interessante notare che tutto questo accade all’indomani di un gesto senza precedenti che va proprio in direzione opposta, nel segno cioè di una presa di distanze chiara dal terrorismo jihadista. In un sermone pronunciato alla Mecca durante l’Haji, l’annuale pellegrinaggio dei musulmani, il gran muftì dell’Arabia Saudita (che dalla corona di Riyadh dipende) ha infatti ammonito che diffondere la violenza, l’odio e l’estremismo è un comportamento contrario all’etica dell’islam. Alla fine ciò che veramente appare più a rischio in Medio Oriente oggi di fronte ai contraccolpi della tempesta mediatica mondiale scatenata da Wikileaks è proprio la conferma di questo tipo di atteggiamenti.

Clicca qui per leggere l’articolo di Arab News

Clicca qui per leggere l’articolo di Ramy Khoury su The Daily Star

Clicca qui per leggere l’analisi del Washington Institute for Near East Policy

Clicca qui per leggere la notizia sul sermone del gran muftì Saudita dal sito di Common Ground

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