A Gerusalemme israeliani in piazza per la casa degli arabi
Ogni venerdì pomeriggio numerosi intellettuali, politici, attivisti di vari movimenti per la pace si danno appuntamento al quartiere gerosolimitano di Sheik Jarah, a poca distanza dalla porta di Damasco. Lo scopo è dimostrare il proprio dissenso verso la politica degli espropri illegali portata avanti dall’attuale amministrazione israeliana. Perché la protesta si radica proprio in questo quartiere? Perché è diventato il simbolo (e la realtà) di una tensione che cresce tra i coloni ebrei e i residenti arabi: in quest’area si trova la tomba di Shimon haTsadik – Simone il Giusto – un sommo sacerdote ebraico vissuto duemila anni fa e qui, nel corso dell’Ottocento, si stabilì una piccola comunità di ebrei; ma quando nel 1948 Gerusalemme venne divisa in due zone (la parte occidentale agli ebrei e quella orientale agli arabi) l’amministrazione giordana di allora fece stabilire in questo quartiere alcune famiglie arabe, scappate dalla parte ovest della città.
Il problema è che quegli accasamenti non vennero mai fatti registrare al catasto e da qualche anno un numero crescente di famiglie ebree rivendica il diritto a ricostituire la comunità ebraica intorno alla Tomba di Simone il Giusto. Una battaglia non solo legale, che talvolta ha visto coloni ebrei cacciare di casa famiglie arabe, secondo un sistema di giustizia fai da te. Contro questa situazione, che compromette il già fragile sogno della pace, alzano la voce persone comuni ma anche politici, studenti, intellettuali. Nonostante l’imponente apparato militare intorno ai manifestanti, l’atmosfera è tutt’altro che tesa. E i vari leader si intrattengono con quanti chiedono loro un commento. È facile incontrare David Grossman, Avraham Burg, Mossi Raz e altri parlamentari… Parecchi i giornalisti stranieri e i volontari di organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani. Perché anche la casa è un diritto fondamentale.