Uccidere i cristiani per annichilire il dialogo tra i popoli
Non è da oggi che i cristiani in Medio Oriente sono nel mirino e che rischiano di pagare con il sangue la loro testimonianza di fede. Basta scorrere le pagine di cronaca dei giornali: all’inizio di quest’anno l’eccidio di Nag Hammadi, in Egitto; a giugno l’assassinio di mons. Luigi Padovese, in Turchia. Ora la strage di Baghdad, in Iraq. Il bilancio dell’attacco terroristico sferrato domenica 30 ottobre alla cattedrale siro-cattolica della capitale lascia senza parole: cinquantotto morti e oltre settanta feriti.
Ad alimentare il clima di paura e tensione, le parole di un comunicato di al-Qaeda, nel quale si afferma che tutte le chiese e i cristiani sono ormai «obiettivi legittimi» della strategia del terrore.
Al-Qaeda, e con lei le fazioni combattenti islamiche, colpisce i cristiani pensando di colpire l’Occidente e ciò che esso rappresenta. Ma uccidere i cristiani, figli di quelle terre e appartenenti a quei popoli, o costringerli alla fuga, è un atto suicida per le società a maggioranza islamica. Nel Messaggio al popolo di Dio diffuso al termine del Sinodo per il Medio Oriente (Roma,10-24 ottobre), i vescovi, oltre a ribadire che i cristiani «sono cittadini originali e autentici, leali alla loro patria e fedeli ai loro doveri nazionali», ne hanno sottolineato il ruolo particolare in quelle terre, invitando a superare «ogni forma di razzismo, l’antisemitismo, l’anticristianesimo e l’islamofobia».
«Chiamiamo le religioni – proseguono i vescovi – ad assumere le loro responsabilità nella promozione del dialogo delle culture e delle civiltà». Sarà forse per annichilire questa attitudine al dialogo che i cristiani sono considerati un pericolo da eliminare?