A 850 metri, sul monte Kena’an, Tzfat (Safed) domina tutta la regione attorno al lago di Tiberiade. Nelle Scritture ebraiche questa città non è mai menzionata, è invece possibile che Gesù di Nazaret abbia fatto riferimento a lei quando ha detto ai suoi discepoli: «Voi siete la luce del mondo! Non può restare nascosta una città posta sopra un monte…» (Mt 5,14).
Il nome Tzfat può essere ricondotto alla radice ebraica tzuf, che esprime l’idea di «osservare dall’alto», ma la tradizione mistica legge in questo nome l’acronimo dei termini Tzevi «gazzella», Pe’er «magnificenza», Tifferet «gloria/splendore»; c’è anche chi vede le iniziali di Tzitzit «le frange dello scialle per la preghiera», Pe’ot «i riccioli ai lati del volto», Tefillin «i filatteri». Tra i molti nomi con cui viene indicata Tzfat, ricordiamo Zefat, Tsfat, Zfat, , Safes, Safet. La città, o almeno il suo primo impianto, venne fondata, secondo la tradizione biblica, da Sem, uno dei tre figli di Noè, che vi studiava volentieri assieme al figlio Eber.
In questo luogo, che insieme a Gerusalemme, a Chevron (Ebron) e Tiberiade costituisce le «quattro città sante» di Israele, dopo la caduta del Tempio e di Gerusalemme del 70 dell’era cristiana, si sono rifugiati i clan sacerdotali seguiti dagli studiosi che hanno iniziato a codificare la Torah orale che la tradizione riconduce al Sinai come la Rivelazione scritta, diventando così uno dei centri di studio del giudaismo post-biblico. Data poi la posizione visibile dalle altre località attorno al lago di Tiberiade, a Tzfat venivano accesi i falò per indicare le grandi festività e la luna nuova, importante per il calcolo dell’inizio del mese.
Nel XV secolo in questa città cominciano ad arrivare dall’Europa e dal Nord Africa molti studiosi di mistica, la Qabbalah, che qui si danno convegno e spesso si stabiliscono. Tra questi Isacco Luria, grande maestro della tradizione cabalistica, al quale sono dedicate due sinagoghe nella città; mentre fra gli altri nomi illustri possiamo ricordare le figure di Josef Caro, autore dello Shulchan’ Arukh, un importante compendio talmudico, e di Salomon ben Moses Ha-Levi Alkabez autore del Lekha Dodì, un inno ispirato al Cantico dei Cantici per accogliere il Sabato. La tradizione ricorda che proprio durante la preghiera di un Sabato, il grande maestro Luria evocò i «Sette pastori di Israele» (Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe, Mosè, Aronne, Davide) i quali comparvero a leggere ciascuno un brano delle Scritture e poi scomparvero.
Dal XIX secolo hanno cominciato ad insediarsi qui molti seguaci della corrente chassidica, i quali continuano ancora oggi a mantenere la tradizione di città della mistica.
È sempre suggestivo percorrere le vie di questo luogo, dove al di là del folklore si può cogliere lo spessore di una tradizione che, nei suoi molteplici aspetti, è arrivata fino ad oggi superando intolleranze e persecuzioni. Di Sabato, quando i negozi sono chiusi e ogni attività lavorativa si ferma, si può sperimentare il fascino di una città in preghiera, che attira tutti coloro che vogliono uscire dalla frenesia dei ritmi settimanali per entrare nelle dinamiche delle «dolcezze» del Sabato. Come ricorda un testo religioso riproposto anche dalla musica popolare: «Se custodirò/osserverò il Sabato, il Sabato custodirà me».