Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia

Natale, ovvero la tenerezza di Dio

Daniel Attinger
22 novembre 2010
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Natale è il grande giorno di Betlemme. Lo è tanto che viene celebrato addirittura a tre riprese. Iniziano, nella notte del 24-25 dicembre, le Chiese cattoliche dei diversi riti, insieme con le altre Chiese occidentali; nella basilica della Natività presiede il patriarca latino accompagnato dai frati francescani, giacché a loro appartiene, insieme agli ortodossi greci e agli armeni ortodossi, la proprietà di questo luogo santo. Tredici giorni dopo, conformemente al calendario giuliano, è il Natale delle diverse Chiese ortodosse (salvo gli armeni); in basilica celebrano in contemporanea gli ortodossi greci, i copti ortodossi e i siro-ortodossi (questi ultimi due sugli altari prestati loro dagli armeni ortodossi). Infine, nella notte del 28-29 gennaio (che corrisponde nel calendario giuliano a quella del 5-6 gennaio, festa del battesimo di Cristo), è il Natale della Chiesa armena ortodossa che non conosce la celebrazione del 25 dicembre, ma associa nascita e battesimo di Gesù in una sola memoria; essi celebrano quindi da soli nella basilica. Certo, celebrare il Natale tutti insieme potrebbe essere un segno di unità fra i cristiani. Tuttavia, se si elevano voci per chiedere una celebrazione comune della Pasqua, di Natale solitamente non si parla, e non è certamente Betlemme che si farà promotrice di una tale richiesta, perché, con questa diversità di calendari, è un mese intero dell’anno che è «abitato» dalla gioia di Natale, per la più grande soddisfazione dei suoi commercianti.

Aldilà della data della nascita di Gesù – che nessuno conosce realmente perché il 25 dicembre come il 6 gennaio sono cristianizzazioni di antiche feste pagane, romana l’una, egiziana l’altra -, ciò che conta è l’evento celebrato: un tremendo paradosso. Pensate! Il Signore dell’universo, l’Onnipotente e il Creatore di tutto ciò che esiste, si riduce fino ad apparire in un neonato.

È così scandaloso che molti cristiani non vollero crederci e dissero che Gesù era, ad un certo momento, diventato Dio… E noi, non releghiamo tante volte il Natale ad una festa giusto buona per i bambini? Dio, fragile bambino, coricato in una mangiatoia, come fieno, pronto ad essere divorato dagli esseri umani. Ed è proprio ciò che avverrà. Trent’anni dopo, Gesù verrà messo a morte, crocifisso come un malfattore sul Golgota, dopo essersi dichiarato «pane vivente» che dobbiamo mangiare per aver parte alla risurrezione e alla vita eterna (cfr Gv 6).

Di questo mistero di Dio fattosi piccolo d’uomo, Betlemme ci ricorda le conseguenze. L’antica città di Davide appartiene oggi all’Autorità Palestinese, ciò che le vale di essere tagliata da Gerusalemme – che pure si trova alle sue porte – da un muro di otto o nove metri di altezza che si attraversa solo se muniti di permessi speciali e non senza severi controlli militari, a meno di essere turisti stranieri, e ancora… Città in cui, nonostante la sua apparenza sorridente, regnano disoccupazione, povertà e mendicità, città che vive soprattutto degli aiuti che arrivano dall’estero. Veramente, vi si fa l’esperienza della «impotenza» di Dio, la quale però non è altro che la «potenza» del suo amore per noi. Può forse l’amore imporsi con la forza delle armi? Nel bimbo di Natale, Dio condivide le nostre prove e le nostre disperazioni e le illumina con la sua tenerezza. Questo mistero paradossale non vale forse che lo si celebri tre volte? Almeno finché non si sia avverata la parola proclamata dagli angeli: «Pace in terra agli uomini che Dio ama».

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