(Milano) – Il governo d’Israele ha deciso di rompere gli indugi e di permettere finalmente l’aliya, il ritorno, degli ultimi Falash Mura nella Terra Promessa. «Abbiamo il dovere morale, come ebrei, di trovare una soluzione al loro problema», ha dichiarato il primo ministro Benjamin Netanyahu al termine della riunione del Gabinetto, il 14 novembre scorso. Grande peso nella decisione ha avuto il rabbino sefardita di Gerusalemme Shlomo Amar, che si è fatto carico di approvare la lista dei Falash Mura etiopi che godranno della «legge del ritorno»: 7.864 su 8.700 richiedenti. Costo complessivo dell’operazione, sostenuta finanziariamente dall’Agenzia ebraica, circa 7 milioni di dollari. Già 600 Falash Mura arriveranno a dicembre in Israele. Per i prossimi tre anni il flusso sarà regolato in maniera costante, al ritmo di 200 ingressi al mese. Al termine del triennio i campi di transito, vere e proprie baraccopoli, verranno smantellati e i terreni occupati restituiti alla municipalità di Gondar.
Le origini dei Falash si perdono nella notte dei tempi. Secondo alcuni studiosi sarebbero discendenti della tribù scomparsa di Dan, secondo altri pronipoti degli ebrei fuggiti in Egitto dopo la distruzione del primo tempio nel 586 a.C. Secondo altri ancora progenie di Salomone e della regina di Saba.
Una parte consistente (oltre 22 mila) di questi olim dalla faccia nera era già stata trasferita nel 1984, con un’operazione denominata Mosé e nel 1991, con l’Operazione Salomone. La decisione del governo israeliano di completare l’esodo del Falash Mura ha suscitato però le cristiche dei ministri economici, che lamentano la mancanza di risorse per far fronte alla nuova ondata di profughi. Oggi in Israele circa 50 mila Falash, su una popolazione di circa 120 mila, sono assistiti dallo Stato. L’integrazione si è rivelata più difficile del previsto per una popolazione abituata a vivere in un mondo diverso e lontano.
Secondo alcuni osservatori il trasferimento in massa si inquadra nella battaglia demografica che Israele sta portando avanti nei confronti della componente araba al suo interno, che ha un tasso di natalità superiore rispetto agli ebrei. In questa chiave la presenza degli olim d’Africa, seppur problematica, ha un suo ruolo da giocare.