La ripresa, in grande stile, della «caccia al cristiano» in Iraq iniziata il 31 ottobre scorso con il gravissimo attentato contro una chiesa siro-cattolica di Baghdad ripropone la questione del futuro del cristianesimo nel Paese. Fonti interne assicurano, infatti, che questi atti hanno accelerato il ritmo – mai sopito, in verità, dell’esodo dei cristiani iracheni verso l’estero.
L’approccio dell’Europa, che consta spesso in reazioni emotive dettate da eventi contingenti piuttosto che in una vera e propria politica, non aiuta purtroppo ad affrontare la questione in tutta la sua complessità. Così, la decisione del governo francese di concedere il visto d’ingresso a 150 cristiani iracheni, anziché suscitare apprezzamento ha sollevato forti critiche tra la gerarchia ecclesiastica irachena. Tutti i parenti dei feriti accolti a Parigi all’indomani degli attentati hanno espresso il desiderio di rimanere in terra francese. Qualcuno ha anche sollecitato il ministro dell’Immigrazione a concedere il ricongiungimento ai familiari rimasti «laggiù». Vogliamo, in altre parole, sostenere la presenza cristiana in Iraq (e nel Medio Oriente in generale), oppure favorire l’esodo dei cristiani dal Paese? È vero, la decisione di mollare tutto e partire non dipende soltanto dalla disponibilità o meno dei Paesi occidentali e rimane in fin dei conti una scelta personale. Ma questa scelta non avrebbe mai raggiunto gli attuali livelli se, a contrastare la campagna del terrore, ci fosse una volontà chiara di sostenere il radicamento delle Chiese mediorientali nei loro antichi territori attraverso progetti mirati, come la costruzione di scuole e fabbriche nelle zone sovraffollate del nord Iraq in cui si ammassano, senza grandi risorse, migliaia di famiglie sfollate.
L’atteggiamento del mondo arabo «moderato» non è più responsabile. Lo storico libanese Kamal Salibi, più laico arabo che «fanatico» cristiano, sostiene che se i cristiani arabi dovessero abbandonare il mondo arabo non sarebbe più possibile definire tale quest’ultimo, né sostenere l’esistenza di una qualche forma di arabità o arabismo. I quattro esodi maggiori degli ultimi decenni (vale a dire da Egitto, Iraq, Palestina e Libano) hanno interessato comunità cristiane che hanno giocato un ruolo essenziale nella formazione delle relative nazioni e società.
Non sono tuttavia pochi gli intellettuali musulmani che denunciano il rischio di una desertificazione umana e culturale del mondo arabo nel caso i cui dovessero mancare i cristiani all’appello. Una di loro è la kuwaitiana Dalaa al-Mufti, già citata in passato in questa rubrica. «Complimenti!», scrive sulle pagine di al-Qabas, rivolgendosi ai terroristi che hanno compiuto il massacro di cristiani a Baghdad. «Complimenti perché avete raggiunto il vostro nobile obiettivo facendo saltare una chiesa piena di fedeli e uccidendo 70 innocenti, in maggior parte donne e bambini, che stavano pregando Dio. Avete sfidato l’Occidente miscredente e innalzato il nome dell’islam con i vostri misfatti. Avete sconfitto i vostri nemici e soccorso i vostri correligionari ovunque essi siano. Complimenti! Avete minacciato i cristiani del mondo, non solo in Iraq, ma anche in Egitto, in Siria e in altri Paesi della regione. Vi siete vantati di avere centinaia di migliaia di seguaci, e affermato che centinaia di chiese saranno tra i vostri obiettivi. Avete stimolato la rimanente parte dei cristiani orientali a fare le valigie ed emigrare in Occidente. (…) Complimenti! Ai cristiani d’Oriente, in particolare a quelli iracheni dico: Vi chiediamo scusa, noi non vi meritiamo».