Il 9 novembre scorso la Giordania ha rieletto la propria Camera dei deputati: quasi due milioni e mezzo di elettori sono stati chiamati alle urne per scegliere 120 nuovi rappresentanti. Nella campagna elettorale si sono sfidati 763 candidati, tra cui 134 donne e diversi rappresentanti delle minoranze presenti del Paese.
(Milano) – Per quasi un anno la Giordania non ha avuto un parlamento che discutesse e approvasse le leggi. Il 9 novembre scorso però la Camera dei deputati di Amman è finalmente stata rieletta: quasi due milioni e mezzo di elettori giordani, infatti, sono stati chiamati alle urne per eleggere 120 nuovi rappresentanti. Nella campagna elettorale si sono sfidati 763 candidati, tra cui 134 donne e diversi rappresentanti delle minoranze anche religiose presenti del Paese, come quella cristiana. Le elezioni, a cui ha partecipato più della metà degli elettori aventi diritto (il 53 per cento), hanno segnato un forte rinnovamento del parlamento: su 120 deputati ben 78 sono alla loro prima esperienza parlamentare. D’altra parte il voto non ha tradito le previsioni, segnando il successo dei candidati vicini a re Abdallah II: tra i deputati molti sono ex ministri di passati governi giordani; mentre le opposizioni sono riuscite a conquistare in tutto solo una ventina di seggi.
Nel novembre 2009 re Abdallah aveva deciso di sciogliere un parlamento «giovane», eletto solo due anni prima, giudicandolo incapace di realizzare le riforme economiche necessarie per il Paese. La campagna elettorale è stata agitata anche da un fattore «non economico»: ovvero, la decisione – formalizzata già in maggio – di boicottare le elezioni da parte il Fronte di azione islamica, braccio politico in Giordania dei Fratelli Musulmani.
Secondo il movimento islamista, il sistema elettorale in vigore in Giordania avrebbe il limite di non assicurare una corretta rappresentanza del Paese. Esso, secondo il movimento, darebbe vita ad un parlamento squilibrato, danneggiando proprio le forze politiche del Fronte di azione islamica. In realtà la Giordania ha sempre dimostrato di essere uno dei Paesi arabi più tolleranti nei confronti dei Fratelli musulmani. Questi ultimi sono presenti nel Regno hascemita dagli anni Quaranta dello scorso secolo, potendo contare sull’accoglienza della famiglia reale. A differenza di altri Stati della regione (come ad esempio l’Egitto), i re giordani hanno sempre evitato la repressione del movimento islamico, consentendone addirittura la rappresentanza in Parlamento. Le elezioni, d’altro canto, hanno avuto anche una novità estremamente positiva: per la prima volta le autorità hanno accettato la presenza di 250 osservatori internazionali e di 3 mila rappresentanti di organizzazioni non governative locali, allo scopo di monitorare le operazioni di voto. «Si è trattato di elezioni credibili, che hanno segnato un miglioramento rispetto alle elezioni precedenti e un passo avanti importante per il Medio Oriente – hanno affermato gli osservatori dell’organizzazione statunitense, International Republican Institute – . Rimane però ancora un margine di miglioramento. La prossima legge elettorale giordana dovrà rafforzare la rappresentanza reale di tutti i giordani».
I rappresentanti della minoranza cristiana eletti in parlamento sono dieci, tra cui anche una donna. Ghazi Farid Misharbash, è un candidato cristiano eletto nel terzo distretto del governatorato di Amman. Il suo sito internet costruito per la campagna elettorale e la pagina Facebook annessa, raccontano di conferenze, assemblee, calorose adunate di sostenitori… e dimostrano una partecipazione vivace della comunità cristiana alla vita civile della moderna Giordania.