Pubblichiamo il testo preparato da fra Pierbattista Pizzaballa per il suo intervento in assemblea sinodale nel pomeriggio del 12 ottobre. Il padre Custode propone di considerare i cristiani e le Chiese di Terra Santa a partire dalla loro vocazione, più che dall'analisi della situazione in cui versano.
Pubblichiamo il testo preparato da fra Pierbattista Pizzaballa per il suo intervento in assemblea sinodale nel pomeriggio del 12 ottobre. Il padre Custode propone di considerare i cristiani e le Chiese di Terra Santa a partire dalla loro vocazione, più che dall’analisi della situazione in cui versano.
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Eminentissimi ed Eccellentissimi Padri,
Illustri Autorità e Membri di questo Sinodo.
In Terra Santa avvertiamo con forza il limite di una prospettiva e di una pastorale che troppo spesso partono dai problemi e dalla situazione piuttosto che dalla vocazione dei cristiani e delle Chiese di quelle terre particolari e benedette (cfr Instrumentum laboris, n. 6). Credo invece che ci troviamo in un tempo e in un luogo in cui è necessario ripartire dalla vocazione propria delle Chiese di Terra Santa. Mi sembra, del resto, essere questo il senso dell’invito che il Santo Padre ci ha rivolto nel’Omelia inaugurale, quando ci ha chiesto di fare nostro lo sguardo di Dio che vede questa terra dall’alto.
Vorrei allora anch’io iniziare questo mio intervento facendo memoria della prima manifestazione della Chiesa a Gerusalemme nel giorno di Pentecoste: «Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio”. Tutti erano stupefatti e perplessi, e si chiedevano l’un l’altro: “Che cosa significa questo?”» (Atti 2, 9-12).
Questo universale ritrovarsi di tutte le lingue a Gerusalemme e il loro incontrarsi in Dio non è solo memoria, ma è ancora presente e futuro. Oggi come allora, la Chiesa di Gerusalemme nasce si sviluppa con vocazione ed apertura universale.
I Frati Minori della Custodia di Terra Santa sono ogni giorno ammirati testimoni e –non raramente- generosi e solerti promotori del movimento fisico e spirituale che porta milioni di persone a tornare e a ritrovarsi a Gerusalemme alla ricerca del centro, del cuore, della prima sorgente della fede e della vita cristiana.
Ad Intra
Come comunità cristiana che vive in Terra Santa dobbiamo riscoprire di essere e vivere nei luoghi delle origini. Non si tratta però semplicemente e solamente di luoghi. Noi siamo e viviamo la memoria viva dell’Incarnazione. Questa non è soltanto avvenuta nel tempo, ma anche in uno spazio. Abitare con vitalità quello spazio è vocazione e servizio alla Chiesa intera. Ci è chiesto allora di recuperare e sviluppare questa consapevolezza. Occorre che pastori e fedeli delle Chiese di Terra Santa sviluppino una maggiore conoscenza di quei luoghi che qualcuno ha definito “il quinto Vangelo”. I Luoghi Santi sono un’importante occasione di evangelizzazione e di preghiera, oltre che punto fermo dell’identità cristiana di Terra Santa. Gerusalemme, in particolare, non può essere solamente vista come il risultato di una lotta tra fazioni opposte; essa resta il punto di partenza e di arrivo della peregrinazione della fede di ogni credente in Cristo, anzi, di chiunque condivide la fede di Abramo. I pellegrinaggi che giungono in Terra Santa da tutto il mondo, come anche la presenza di fedeli ebrei e musulmani intorno alla stessa area sacra della Città Santa appaiono agli occhi della fede come una realizzazione, sia pure parziale, della profezia del raduno di tutti i popoli sul Monte Sion per apprendere le vie del Signore e camminare sui suoi sentieri (cfr Is 2, 2-4; Mic 4, 2-4).
C’è dunque bisogno di una cura rinnovata per la formazione e la catechesi di quanti si preparano ad essere pastori e dei fedeli perché tutti siano all’altezza delle sfide che l’evangelizzazione e la missione presentano in questo nostro tempo e in questa nostra Terra. Una pastorale che si concentri maggiormente sulla Parola di Dio studiata, meditata e annunciata appare irrinunciabile (cfr Instrumentum laboris, nn. 8; 62-69). Le difficoltà, e persino i divieti, che l’annuncio esplicito del vangelo incontra nelle nostre terre non devono spingerci solamente a conservare l’esistente ma ci chiedono come singoli e come comunità di essere creativi, capaci di testimonianza eloquente e incisiva.
Ad Extra
I pellegrinaggi da un lato, il carattere molteplice –multilingue, multirazziale e multi rituale- della Chiesa di Terra Santa dall’altro, ci chiedono di essere Chiesa sempre più “estroversa”, direi ospitale, aperta agli altri e all’altro.
La Chiesa di Terra Santa è sempre stata di minoranza. Essere minoranza è parte della nostra identità e non ne dobbiamo fare un dramma. E tale condizione ci ricorda che non siamo né esistiamo per noi stessi, ma per entrare in relazione con quanti ci incontrano e ci sprona ad essere propositivi. E ciò a dire il vero si realizza. Pur essendo infatti poco più dell’1 per cento della popolazione, la Chiesa con le sue opere raggiunge più del 5 per cento degli abitanti.
Permettetemi qui di ricordare il servizio della Custodia di Terra Santa nell’educazione, nell’assistenza e nella formazione universitaria, offerto non solo ai cristiani latini ma anche ai fedeli delle altre confessioni e religioni. In anni recenti la Custodia di Terra Santa si è aperta alla collaborazione per la cura pastorale di gruppi di fedeli cattolici di lingua ebraica e di immigrati (cfr Instrumentum laboris, nn. 49-53). I centri di studio, di ricerche e di accoglienza e di comunicazione sociale, fondati e sostenuti dalla Custodia, come il Centro francescano di Studi Orientali al Cairo, il Memoriale di san Paolo a Damasco, l’Istituto Musicale Magnificat, il Franciscan Multimedia Centre e la Facoltà di Scienze Bibliche e Archeologia a Gerusalemme sono aperti a cristiani di ogni denominazione.
Essere minoranza non deve impedirci di dare vibrante testimonianza di fede e di appartenenza, di fare proposte culturali attente e forti, unico spazio di confronto possibile nella nostra Terra. Essere minoranza non ci deve chiudere, ma aprirci a nuove forme di creatività, che non solo sono permesse, ma a volte addirittura attese dai fratelli delle altre fedi.
L’impegno ecumenico è per noi che viviamo in Terra Santa anzitutto incontro quotidiano di popolo, di fratelli e sorelle che, al di là delle diversità, condividono il comune cammino cristiano e il condiviso impegno per la pace (Instrumentum laboris, n. 82). Ma è anche espressione quotidiana della fatica che i pregiudizi e la storia ci hanno consegnato e che in Terra Santa diventano tangibili e concreti.
Per quanto riguarda il delicato e sofferto scenario politico, senza entrare in questioni delicate e già fin troppo discusse anche tra noi, desidero qui sottolineare quanto anche a noi stessi non è sempre chiaro e cioè che spetta a noi cristiani di Terra Santa, che non rivendichiamo territori e posizioni di privilegio, di custodire, mantenere visibile e gelosamente difendere in tutte le forme possibili e in tutte le sedi pubbliche il carattere anche cristiano della Terra Santa e di Gerusalemme, che non è sempre scontato e che forse non è sempre accolto.
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(Per rispettare i limiti di tempo previsti per ogni intervento in assemblea – 5 minuti -, qualche passaggio di questo testo è stato omesso durante la lettura da parte del suo autore)