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Patriarca Twal: Basta occupazione, è un male per tutti

Manuela Borraccino
15 ottobre 2010
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Patriarca Twal: Basta occupazione, è un male per tutti
L'arcivescovo Fouad Twal, patriarca latino di Gerusalemme. (foto E. Agazzi)

In un incontro con i giornalisti italiani, il patriarca latino di Gerusalemme, Foaud Twal, è tornato a chiedere che Israele ponga fine all'occupazione dei Territori palestinesi. E ha aggiunto: «Se la soluzione dei due Stati non fosse più possibile, che si faccia un unico Stato democratico dove i palestinesi abbiano il diritto al voto».


(Città del Vaticano) – Il patriarca latino di Gerusalemme Foaud Twal torna a rivolgere un appello per porre fine all’occupazione che «è un male tanto per i palestinesi quanto per gli israeliani», condanna i proclami anti-israeliani lanciati dal Libano in questi giorni dal presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad e lancia una sfida alle autorità sulla soluzione politica per la questione palestinese: «Se non è possibile la soluzione dei due Stati, io sono pronto ad accettare un unico Stato democratico dove i  palestinesi abbiano il diritto votare, e allora vedremo se questa non sarà per Israele una sfida ben più grande di due Stati», dice interpellato dai cronisti a margine del Sinodo per il Medio Oriente.

Invitato a un incontro con i giornalisti italiani, il patriarca ha esordito con un ringraziamento per quanto si sta facendo per dare visibilità alle Chiese del Medio Oriente, e ha ribadito la sua convinzione che Gerusalemme, la Chiesa Madre, sia «una Chiesa del Calvario». «Da 62 anni siamo in conflitto. Ed io credo – ha detto – che 62 anni siano troppi se c’è una reale buona volontà di trovare una soluzione. I mezzi usati finora non erano buoni o forse, peggio ancora, non c’era la buona volontà di risolvere il problema. Quello che io oggi vedo come pastore è la chiara volontà di gestire il conflitto anziché risolverlo. D’altra parte non dobbiamo essere pessimisti: ora ci sono questi negoziati in corso, io prego affinché questi leader trovino il coraggio di fare un accordo, per dare alla popolazione la speranza di un futuro. Perché finora abbiamo solo sentito promesse che non sono state realizzate. Penso che manchi la fiducia reciproca fra israeliani e palestinesi, ma nonostante questo aspettiamo che ci siano risultati».

Alla domanda su quali conseguenze abbia avuto il viaggio del Papa, Twal ha confidato come, su trenta discorsi pronunciati dal Papa, sia stato l’ultimo discorso, quello di congedo pronunciato all’aeroporto di Tel Aviv, l’intervento che ha apprezzato di più. «Io quel giorno ho visto con i miei occhi le lacrime di commozione del presidente Peres, quando il Papa ha detto che da amico degli israeliani e amico dei palestinesi, la cosa che lo aveva rattristato di più durante il viaggio era stato il Muro di separazione. Credo che nessun capo di Stato abbia avuto il coraggio di dire quello che ha detto lui. I muri nella storia non hanno mai funzionato, non hanno mai portato sicurezza». «D’altronde questi muri – osserva ancora il patriarca – non sono che il segno visibile, tangibile, del muro nel cuore dell’uomo che è un muro di paura, di ignoranza, di rifiuto dell’altro. Tocca a noi, come diceva il Papa, far cadere questi muri invisibili nel cuore dell’uomo».

Poi Twal rivolge una richiesta alle autorità israeliane: «Quello che chiedo, soprattutto ai dirigenti israeliani, è che ci aiutino ad avere una vita solamente normale, come tutti i popoli del mondo. Questo vogliamo, svegliarci e andare al lavoro normalmente, andare all’aeroporto normalmente; i parroci vogliono poter visitare i loro parrocchiani, potersi recare nei Luoghi santi, perché non possiamo separare Betlemme da Gerusalemme».

Il presule ha poi rivolto un pensiero alle conseguenze della militarizzazione della vita civile per entrambi i popoli. «Se voi pensate – ha affermato – che un’intera generazione di israeliani e palestinesi è nata sotto l’occupazione e cresciuta sotto la violenza, mi chiedo e chiedo a tutte le persone di buona volontà: che tipo di generazione stiamo preparando? Che tipo di famiglie, con che tipo di affetto? Noi stiamo allevando gente cresciuta con la violenza e sotto la violenza, e tutti paghiamo. Perciò mi chiedo: che cosa possiamo fare, tutti insieme, per creare una relazione di fiducia anziché di odio fra i giovani? Quando arriverà il momento che vedremo i giovani di Gaza giocare con i ragazzi israeliani che hanno accanto? Perché io non credo che con l’attuale politica stiamo preparando tutto questo».

Alla domanda se due Stati siano ancora possibili, o se l’espansione delle colonie non abbia fatto ormai tramontare l’ipotesi di uno Stato palestinese, il presule ha ricordato che il Papa, la Santa Sede e altri attori internazionali hanno continuato anche di recente a parlare di due Stati. «Se due Stati non sono possibili – ha aggiunto – io sono pronto ad accettare un unico Stato democratico dove i palestinesi abbiano il diritto di votare, e allora vedremo se questa non sarà per Israele una sfida ben più grande dei due Stati». L’essenziale è che «l’occupazione finisca perché fa male sia ai palestinesi che agli israeliani. L’occupante ha sempre paura di chi ha di fronte, l’occupato non fa che alimentare l’odio e il rancore e cercare il modo di liberarsi, o peggio ancora di vendicarsi».

Il presule ha ricordato che solo a Gerusalemme sono 10 mila i cristiani, stretti fra 240 mila musulmani e 455 mila israeliani. Lui stesso tra breve partirà per un viaggio di quasi un mese in Argentina, Cile, Colombia, Honduras per visitare i fedeli latini della diaspora che «che sono molto più numerosi di quelli rimasti in patria, almeno 500 mila solo in America Latina», e che sono ben integrati. «La tentazione dell’emigrazione – dice il vescovo – deriva dal fatto che nessuno ha paura di quello che troverà dall’altra parte, perché sa che sarà ben accolto. Io dico sempre: troverete lavoro e accoglienza, ma non troverete mai un’altra Terra Santa».

Twal nega che ci siano problemi fra cristiani e musulmani nei Territori, e ribadisce come anche a Gaza «l’estremismo fondamentalista sia un problema per tutti, sia cristiani e musulmani». Sui visti di ingresso rilasciati dal governo israeliano al clero arabo ha spiegato che «la situazione è migliorata, ma non posso dire che questo problema sia risolto: sia il patriarcato latino che la Custodia di Terra Santa non possono fare venire personale dal Libano e dalla Siria per un problema di sicurezza».

Interpellato infine sulle dichiarazioni del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad contro in Israele, durante la visita di ieri in Libano, ha stigmatizzato con forza le sue parole: «Siamo assolutamente contro i proclami di questa persona, che non fa che aggravare la situazione regionale, non siamo assolutamente d’accordo».

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