Un Sinodo dei vescovi «è sempre un appuntamento convocato in primo luogo per i giovani, anche quando non si parla direttamente di loro, perché sono loro il futuro della Chiesa». E questo, spiega il vescovo ausiliare di Gerusalemme dei Latini, mons. Giacinto Boutros Marcuzzo, è tanto più vero in Terra Santa dove «il dilemma dell’identità viene avvertito in modo fortissimo dai giovani cristiani».
(Roma/m.b.) – Un Sinodo dei vescovi «è sempre un appuntamento convocato in primo luogo per i giovani, anche quando non si parla direttamente di loro, perché sono loro il futuro della Chiesa». E questo, spiega il vescovo ausiliare di Gerusalemme dei Latini, mons. Giacinto Boutros Marcuzzo, è tanto più vero in Terra Santa dove «il dilemma dell’identità viene avvertito in modo fortissimo dai giovani cristiani, tanto dai palestinesi quanto ancora di più dagli arabi di nazionalità israeliana: è il problema per antonomasia ed è quasi senza soluzione». Residente a Nazaret da molti anni, il 65enne vescovo responsabile dei 7.500 cattolici latini della Galilea, presenta così alcuni dei temi che svilupperà stasera nella conferenza «Ponti fra giovani in Medio Oriente» nella sala Pio X, in via della Conciliazione, a Roma. E sul giuramento di fedeltà allo Stato ebraico che ieri ha avuto il disco verde dal governo israeliano avverte: «Non possiamo accettare in alcun modo questo tentativo di giudaizzare lo Stato».
Docente di letteratura araba cristiana all’Università cattolica di Betlemme e visiting professor all’Università di Haifa, mons. Marcuzzo ha uno sguardo d’eccezione sui problemi e le attese dei cristiani di Terra Santa. Di origine veneta, emigrato da seminarista a 16 anni in Israele «per servire non solo i Luoghi Santi ma soprattutto la comunità di quella terra, condividere la sua vita, le sue prove e la sua storia», mons. Marcuzzo è entrato giovanissimo nel clero di Gerusalemme e, una volta terminati gli studi in teologia e filosofia, ha passato 25 anni come parroco e docente di Patrologia cristiana nei Territori palestinesi prima di diventare vescovo, nel 1993, e vicario patriarcale per Israele.
Oggi mons. Marcuzzo è, tra l’altro, coordinatore delle attività comuni delle Chiese per i giovani: solo in Galilea, accanto ai 7.500 latini vi sono altri 7.500 greco-cattolici e 15 mila ortodossi, oltre a 2 mila maroniti e altri 3 mila circa di varie confessioni.
«I giovani – spiega – saranno al centro del Sinodo anche quando non verranno espressamente nominati. Occorre dire che la pastorale giovanile è proprio uno dei settori in cui si vive di più la comunione fra le Chiese. L’altro tema che varrà la pena sottolineare saranno gli sforzi che facciamo affinché i giovani della Chiesa universale abbiano un contatto diretto con i giovani della Terra Santa, per questo lavoriamo moltissimo sull’accoglienza da parte di famiglie arabe israeliane di giovani di tutto il mondo interessati a passare qualche giorno con dei loro coetanei».
Il problema dell’identità cristiana «è il problema cruciale per noi». «Chi ne prende coscienza soffre – racconta – perché è una questione molto difficile e molti evitano di affrontarla. Noi cerchiamo di aiutare ad affrontare la questione e a trovare delle risposte, che sono praticamente impossibili da trovare. Alcuni reagiscono con l’estremismo politico, come si vede soprattutto fra i giovani cristiani palestinesi, che sono molto politicizzati. Altri con la fuga: perché, lo dirò con chiarezza durante il Sinodo, il primo pensiero dei nostri giovani è partire, noi facciamo un lavoro immenso per convincerli a restare. Come ci riusciamo? Direi grazie al lavoro di formazione portato avanti per anni dal patriarca emerito Michel Sabbah, che ci ha sempre spronato ad andare alle radici della fede: sì, ci diceva, l’emigrazione è una questione politica ed economica, ma è prima di tutto una questione di coscienza, di motivazione interna. Quella dei cristiani in Medio Oriente è una vocazione da trasformare con la propria volontà in missione: nella catechesi insistiamo moltissimo su questo».
Una nuova sfida su questo versante è stata lanciata ieri dall’approvazione da parte del governo israeliano del giuramento di fedeltà allo «Stato ebraico e democratico», un disegno di legge che modifica l’attuale legislazione in tema di cittadinanza e richiede il giuramento ai nuovi cittadini non ebrei. «Non possiamo ovviamente accettare in alcun modo una legge simile» è la reazione a caldo del presule. «Come tutti gli Stati democratici, Israele deve essere lo Stato dei suoi cittadini, altrimenti cesserà di essere uno Stato liberale e democratico. Dietro questa legge c’è il tentativo di affermare un’ideologia che vorrebbe giudaizzare Israele, dividere il popolo fra una maggioranza ebrea e una minoranza non ebrea: l’obiettivo è quello di rendere gli arabi cittadini di serie B, creando uno Stato unilaterale. E questo è inaccettabile».
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Attese e sfide dei giovani In Medio Oriente saranno al centro dell’incontro del vescovo stasera con la responsabile dei giovani di Ac Chiara Finocchietti, con Alessandro Bartolini dell’Agesci, con Daniele Pasquini del Centro sportivo italiano (Csi), con Alex Zappalà del Movimento giovanile missionario e con padre Fadi Daou, presidente dell’organizzazione libanese Adyan Foundation.