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Ambasciatore di Israele: L’identità ebraica tocca religione e nazionalità

Manuela Borraccino
11 ottobre 2010
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Interpellato da Terrasanta.net, l'ambasciatore israeliano presso la Santa Sede, Mordechay Lewy, interviene dopo le critiche giunte da diversi presuli riuniti nel Sinodo per il Medio Oriente, circa l'approvazione ieri da parte del governo israeliano del disegno di legge sul giuramento di fedeltà allo Stato ebraico.


(Roma) – «Essere ebreo non è solo una questione di religione ma anche di identità nazionale: è qualcosa di molto complesso, difficile da capire dall’esterno, ma in realtà occorre tenere presente che in Israele c’è questo dualismo. L’identità ebraica può essere declinata in vari modi: religione e nazionalità insieme, oppure solo religione o solo nazionalità». È quanto afferma l’ambasciatore israeliano presso la Santa Sede Mordechay Lewy, dopo le critiche giunte da diversi presuli riuniti nel Sinodo per il Medio Oriente, circa l’approvazione ieri da parte del governo israeliano del disegno di legge sul giuramento di fedeltà allo Stato ebraico.

Interpellato da Terrasanta.net, il diplomatico non entra nel merito del disegno di legge, ma fa presente che la norma in discussione, che sta già suscitando aspre polemiche in Israele, in realtà «riguarda solo la naturalizzazione di cittadini che chiedono la nazionalità israeliana, di certo non coloro che sono nati in Israele». In ogni caso è un provvedimento che riguarderebbe «pochissimi immigrati».

Stamane nel corso della conferenza stampa in Vaticano il patriarca di Alessandria dei Copti, mons. Antonius Naguib, aveva definito «una flagrante contraddizione» il fatto che Israele si definisse «l’unico Stato democratico del Medio Oriente» e poi approvasse «una legge che pone certe condizioni per la cittadinanza contrarie ad un Paese democratico». «Non sono al corrente di questa notizia, ma mi sembra molto contraddittoria».

Il vescovo libanese di Jbeil dei Maroniti mons. Bechara Rai, dal canto suo, aveva aggiunto che i cristiani sono contrari a «qualsiasi Stato che ancori il diritto alla religione, o che renda le Scritture fonte del diritto, sia che si tratti di uno stato ebraico sia che si tratti di uno stato musulmano» ha rimarcato. I cristiani, ha ribadito, tornano a chiedere in occasione del Sinodo l’affermazione di una «laicità positiva» come quella esistente in Libano, e soprattutto la separazione fra fede e Stato, come non è garantito purtroppo in altri Paesi.

In svariati Paesi musulmani, ha detto ancora mons. Rai, «la libertà di religione c’è solo se ci si converte dal cristianesimo all’islam, certo non il contrario: si rischia la pena di morte».

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