Le maggiori religioni sono capaci di rappresentare un fattore unificante e non, viceversa, un’occasione inesorabile di scontro? Se il pluralismo religioso è in quest’epoca una necessità, un libro come questo volume curato da Andrea Pacini, può rivelarsi opera assai interessante, perché prende in esame le tre realtà religiose quantitativamente più influenti: il cristianesimo, l’islam e la galassia induista (con riferimento anche al buddhismo), per vedere se abbiano nelle loro corde la possibilità di un rapporto autentico con l’alterità.
«Ecco come è bello e come è dolce che i fratelli vivano insieme (…) Perché là il Signore manda la benedizione, la vita per sempre». Forse il nucleo caldo delle diverse fedi è estremamente semplice; forse, se le religioni più frequentate del globo realizzassero appieno i loro obiettivi fondamentali, l’olio non smetterebbe mai di ungere la barba di Aronne, secondo l’immagine del salmo.
E siccome è intuitivo che, al presente, la qualità del rapporto tra genti e culture diverse, quasi costrette a mischiarsi e convivere, può determinare la pace e il benessere collettivo, è giusto chiedersi se le maggiori religioni siano intimamente capaci di rappresentare un fattore unificante e non, viceversa, un’occasione inesorabile di scontro. Se il pluralismo religioso è in quest’epoca una necessità (e ciò è più palese in tutti quei luoghi ove in nome del proprio Dio si versa sangue altrui), un libro come Le religioni e la sfida del pluralismo a cura di Andrea Pacini, può rivelarsi opera assai interessante, perché prende in esame le tre realtà religiose quantitativamente più influenti, cioè il cristianesimo, l’islam e la galassia induista (con riferimento anche al buddhismo), per vedere se queste, prese nella loro complessità, abbiano nelle loro corde la possibilità di un rapporto autentico con l’alterità o se, per guardare al di fuori di loro stesse, debbano in qualche modo inevitabilmente snaturarsi.
Lo schema della raccolta è ternario, perché, come introduce Pacini, sono tre i «nodi» da sciogliere (ognuno sviluppato tramite tre brevi saggi, uno per religione), cioè il nodo teologico, per cui ci si chiede in quale modo ciascuna religione giustifichi (ed eventualmente accetti) l’esistenza di altre fedi; il nodo sociale e politico, per cui si riflette su ciò che è già stato operato nei contesti più critici in fatto di libertà religiose; il nodo infine della ricerca di orizzonti comuni, che risulta dalla personale mediazione tra le singole tradizioni religiose e l’espressione dei diritti minimi dell’umanità, in primo luogo quelli sanciti dalla Dichiarazione universale del 1948.
Frutto di una collaborazione con la Commissione interregionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso Piemonte-Valle d’Aosta, di cui Andrea Pacini è responsabile, il volume ha un approccio scientifico non manca di un certo critico realismo. Nei nove contributi si comprende come nel cammino del dialogo interreligioso le difficoltà «a monte» non manchino, tanto nelle diverse realtà indù (proprio in India si sono verificati alcuni degli scontri di carattere religioso più violento degli ultimi tempi), quanto nell’Islam, difficilmente capace di oltrepassare il concetto di dhimmi, quanto nello stesso cristianesimo, solo recentemente approdato ad una «teologia delle religioni» ricca di spunti, ma bisognosa di armonia e sviluppo.
Che fare allora? Forse un buon punto di inizio lo suggerì a suo tempo l’imperatore Ashoka, indù di stirpe ma simpatizzante buddhista, vissuto più di duecento anni prima di Cristo, in un suo editto celebre: «Il re Piyadassi caro agli dei rende onore a tutte le religioni, così a quelle di asceti come a quelle di laici, con liberalità e varie forme di ossequio. Ma egli non pensa tanto alla liberalità o agli onori quanto al reale progresso che può compiersi in tutte le religioni. Il progresso reale ha forme diverse, ma la sua radice è la moderazione nell’esaltare la propria religione come nel criticare l’altrui religione; e il parlarne sia ben meditato, e vi sia rispetto. Si deve sempre rispetto alle religioni altrui. Agendo in questo modo si esalta la propria religione e non si fa offesa alle altre; agendo diversamente si fa ingiuria alla propria religione e alle altre».