Breve sosta ad Aboud, un paesino della Cisgiordania, divenuto internazionalmente famoso negli anni 2005 e 2006 per la sua lotta contro il muro voluto dagli israeliani, ma anche per il suo essere uno dei pochi villaggi palestinesi dove la presenza dei cristiani riesce quasi ad uguagliare quella dei musulmani. Abbiamo incontrato il parroco ortodosso e alcuni fedeli, che ci aprono uno squarcio sulla loro vita di tutti i giorni.
(Gerusalemme) – Aboud è un paesino della Cisgiordania, divenuto internazionalmente famoso negli anni 2005 e 2006 per la sua lotta contro il muro voluto dagli israeliani, ma anche per il suo essere uno dei pochi villaggi palestinesi dove la presenza dei cristiani riesce quasi ad uguagliare quella dei musulmani, assieme a Jifna, Ain Anarik, Birzeit. «Nel nostro villaggio ci sono 2.400 abitanti, poco più della metà musulmani e gli altri cristiani, di cui 600 cattolici e 600 ortodossi» spiega Emmanuel Awwad, che dall’inizio del 2010 è il parroco della chiesa greco-ortodossa di Aboud. Lo incontriamo nella bella chiesetta di santa Maria di Abudia, risalente all’epoca di Costantino (Quarto secolo) e che presenta alcuni interessanti mosaici all’esterno.
Alla Messa partecipa una cinquantina di fedeli, uomini e donne di tutte le età, che alla fine si ritrovano nel giardino della parrocchia per condividere il pane benedetto, i fichi e l’uva. Un buon momento per raccogliere le voci di questi abitanti, le loro descrizioni della vita quotidiana e dei rapporti interreligiosi. Una donna sulla cinquantina, insegnante di inglese nelle scuole del villaggio ammette di non avere amici musulmani, ma non per ostilità, «solo perché loro vivono in un’altra parte del paese e per mancanza di tempo». La figlia, 29 anni, ha studiato alla scuola del patriarcato latino ad Aboud, dove in maggioranza le allieve erano musulmane: «Tra loro avevo anche delle amiche, ma quelle relazioni oggi sono un po’ trascurate perché devo badare a mia figlia piccola. Mi piacerebbe avere la possibilità di far vedere il mondo alla mia bimba, però non vorrei lasciare il mio Paese, solo avere la possibilità di viaggiare». Altre donne si inseriscono nella conversazione e dalle loro risposte alle domande sulle difficoltà che incontrano sembra che non abbiano problemi in quanto donne. Pensano che ne abbiano, invece, le musulmane, meno libere e meno istruite di loro.
A questo spaccato di vita si aggiungono le valutazioni del parroco, che sottolinea: «Il problema maggiore, per tutti i palestinesi, è la povertà: la situazione economica non è sostenibile e si va sommando alla chiusura perpetrata da Israele». Per quel che riguarda i cristiani ammette che a volte ci sono difficoltà specifiche, perché «siamo visti male dagli ebrei, che ci credono terroristi come tutti i palestinesi; e da Hamas, che ci crede collaborazionisti».
Sui buoni rapporti interreligiosi padre Awwad, dopo aver officiato per 10 anni a Ramallah, riconosce che quella città, mentalmente aperta e culturalmente avanzata, costituisce un’eccezione, unico luogo dove le feste cristiane e musulmane vedono momenti di celebrazione collettivi e pubblici. Per il Ramadan, per esempio, la chiesa offre un Iftar (il pasto comune che ogni sera, dopo il tramonto del sole, rompe il digiuno osservato per tutto il giorno dai pii musulmani) verso gli ultimi giorni del mese sacro, mentre a Natale i musulmani della città festeggiano sia con i cattolici che con gli ortodossi. Ramallah caso unico, quindi, ma «anche ad Aboud proverò a proporre momenti del genere», assicura il religioso nel salutarci.
In questo piccolo villaggio è attivo anche un progetto di centro comunitario, gestito da anni dalla ong locale Palestinian Youth Union alla quale nel 2010 si è affiancata l’ong italiana Cospe (Cooperazione e sviluppo dei Paesi emergenti): ad Aboud, e in altri cinque villaggi della Cisgiordania, caratterizzati dall’essere molto vicini al muro di separazione oppure circondati da insediamenti israeliani, Cospe ha avviato il progetto di «promozione di giovani e donne nelle aree rurali della Cisgiordania attraverso i Centri comunitari» spiega Chiara Carmignani, project coordinator, che aggiunge: «Lo scopo è quello di consolidare la coesione sociale e i processi di democrazia nei Territori Palestinesi Occupati attraverso il rafforzamento del ruolo attivo delle donne e dei giovani nella società civile, riducendo la povertà, migliorando la capacità delle organizzazioni sociali, con particolare attenzione ai servizi sociali sostenibili». Ad Aboud il coordinatore locale è il venticinquenne Ibrahim Zaroubi che racconta: «Alle attività partecipano circa 160 bambini e bambine, ma almeno una ventina di persone sono sempre presenti nei locali del Centro, dove c’è una sala computer, una biblioteca e spazi per i giochi. Per i giovani del villaggio è ormai un punto di riferimento fondamentale, di socialità, cultura, approfondimento».