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Quando l’Italia cura i bimbi palestinesi

Simone Esposito
29 luglio 2010
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Quando l’Italia cura i bimbi palestinesi
Operatori sanitari dell'ospedale pediatrico Meyer, di Firenze, con un piccolo paziente.

Nei giorni scorsi, a Roma, una piccola paziente di Gaza è stata ricoverata in oncologia, dove riceverà terapie che nella sua terra non sono disponibili. È solo uno dei tanti casi in cui strutture sanitarie italiane intervengono, insieme a istituzioni israeliane, per garantire cure a bambini palestinesi. Uno sguardo a Lazio e Toscana.


(Roma) – Si chiama Intisar Almshalah: cinque anni soltanto e un tumore al fegato che non se ne vuole andare, riapparso dopo che un primo ciclo di chemioterapia aveva lasciato ben sperare. A casa sua, a Gaza, non riusciva ad avere accesso alle cure necessarie per sconfiggere la sua grave malattia: è per questo che il 26 luglio scorso la piccola è volata in Italia con suo padre per essere ricoverata al Policlinico Umberto I di Roma.

«Un nostro volontario che vive a Gaza ci ha parlato di questa situazione e allora ci siamo subito messi in moto», racconta a Terrasanta.net Benedetta Paravia, portavoce dell’associazione Angels che si è fatta carico del trasferimento di Intisar e di suo padre a Roma. Angels si occupa di supporto all’infanzia nelle zone di guerra, opera da poco più di un anno e ha già portato in Italia altri quattro bambini ammalati. Continua Paravia: «Intisar è la seconda che arriva da Gaza. Le segnalazioni provengono sempre da nostri volontari nei territori che seguiamo. Noi prima facciamo delle verifiche sulla cartella clinica, poi con i nostri medici e quelli del Servizio sanitario della Regione Lazio decidiamo il percorso di cura da seguire. Nel caso dei bambini palestinesi ci siamo attivati con il consolato italiano a Gerusalemme, abbiamo ottenuto i visti e chiesto alle autorità israeliane un’apertura speciale del valico di Erez in modo da far arrivare i piccoli e le famiglie all’aeroporto di Tel Aviv. Da lì in poi ci occupiamo del ricovero e dell’ospitalità finché è necessario». Nel caso di Intisar, probabilmente, almeno sei mesi: «La situazione è particolarmente critica e i medici di Oncologia pediatrica del Policlinico di Roma pensano che potrebbe essere necessario un trapianto di fegato. Ma anche nel caso dell’altro bambino di Gaza sembrava che il trapianto fosse inevitabile e invece tutto è andato per il meglio in soli tre mesi. Speriamo che succeda di nuovo». Angels si fa anche carico dell’invio di medicinali e materiali sanitari: «Ultimamente – ci dice ancora Paravia – abbiamo portato un carico di latte speciale per bambini intolleranti al lattosio». Merce rara e carissima, visto che «il servizio sanitario israeliano vende una confezione da 400 grammi a 60 dollari».

Intisar è, quindi, soltanto l’ultima ad aver attraversato questa sorta di «ponte» sanitario che lega da qualche anno i Territori Palestinesi (e soprattutto la Striscia di Gaza) all’Italia, in particolare dopo l’Operazione Piombo fuso. Curarsi a Gaza, infatti, è, nella maggior parte dei casi, difficile: secondo alcuni dati comunicati nel giugno scorso dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), il 25-30 per cento dei farmaci essenziali è introvabile, e centinaia di strumentazioni medicali come Tac e apparecchi radiologici sono fermi, anche da un anno, ai confini della Striscia in attesa di un ingresso finora impedito dal blocco israeliano. Il blocco sui materiali elettrici e da costruzione rende anche instabile il funzionamento della rete elettrica, con conseguenze durissime sulle procedure salvavita. In più, come spiega ancora l’Oms, delle circa mille domande di autorizzazione che ogni mese arrivano alle autorità israeliane da parte di pazienti palestinesi che necessitano di cure urgenti ricevibili sono al di fuori di Gaza, in media ne vengono respinte ben 300.

Proprio per far fronte a questo problema la Regione Toscana ha avviato ormai da due anni vari programmi di cooperazione internazionale (in collaborazione con il ministero degli Esteri e altre regioni italiane) mirati a rendere possibile il ricovero di bambini palestinesi affetti da patologie gravi in strutture sanitarie israeliane. Fino ad oggi attraverso questo progetto, alla cui esecuzione collaborano anche due ong, l’israeliana Center Peres for Peace di Tel Aviv e la palestinese Panorama di Ramallah, i piccoli pazienti curati sono stati più di 6 mila. «Il nostro modo di fare cooperazione è stata una scelta precisa: puntare al miglioramento del sistema sanitario sul territorio, e quindi al miglioramento dei rapporti fra operatori israeliani e palestinesi, in un’ottica di cultura della pace»: così ci spiega Maria Josè Caldes Pinilla, medico spagnolo dell’ospedale Meyer di Firenze, una delle migliori strutture pediatriche italiane, e responsabile della cooperazione sanitaria della Regione Toscana. «Abbiamo supportato alcune ong presenti in Israele e Palestina e fornito la copertura finanziaria per le spese necessarie, in modo da rendere accessibili a tutti cure altrimenti troppo costose». Nei casi più difficili si è deciso anche per il trasferimento in Italia, come quando durante la crisi del gennaio 2009 dieci bambini di Gaza vennero ricoverati in Toscana (otto al Meyer, uno a Massa e l’ultimo, un bimbo cardiopatico di soli tre mesi, a Pisa).

Ma questo non è il solo fronte sul quale la Regione è impegnata. Ci dice ancora la dottoressa Caldes: «Un altro progetto al quale lavoriamo è quello dell’invio a Gerusalemme e a Ramallah di medici del Servizio sanitario regionale: neurochirurghi, cardiochirurghi e cardiochirurghi pediatrici. Abbiamo stipulato accordi, sia come Regione, sia come ospedale Meyer, con il ministero della Sanità dell’Autorità Nazionale Palestinese. È un altro modo per incidere in maniera positiva sul sistema sanitario locale, perché i nostri operatori fanno sia attività clinica che formazione ai medici del posto». Negli ultimi due anni le missioni dalla Toscana sono partite più o meno ogni due mesi, ma nel 2010 le cose sono andate un po’ più a rilento: «Ci sono state le elezioni – ammette la Caldes – e questo ci ha bloccato un po’. Ma contiamo di ripartire a breve».

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