«La tragica notizia della morte violenta di mons. Luigi Padovese ci ha lasciati sgomenti, incapaci di capire come possa essere accaduta una cosa così orribile, soprattutto nei confronti di un uomo di Chiesa, un vescovo molto amico dei turchi e della Turchia. Questa terra si conferma così, ancora un volta, un luogo di martirio». Con queste parole mons. Ruggero Franceschini, arcivescovo metropolita di Smirne, ha iniziato la sua omelia durante le esequie funebri del vicario apostolico dell’Anatolia barbaramente assassinato il 3 giugno scorso a Iskenderun, nel sud della Turchia, per mano di un giovane che gli prestava servizio come autista tuttofare.
Monsignor Padovese, cappuccino, docente presso l’Università Antonianum di Roma, era un amico della nostra rivista Terrasanta, della quale – oltre ad essere lettore – condivideva lo spirito e la lettura degli eventi sia politici sia ecclesiali nel delicato contesto mediorientale.
Mentre le indagini sulla sua morte non hanno ancora dato esito univoco (omicidio islamico? gesto di un pazzo isolato?) due nostre illustri firme tentano una lettura dell’episodio tragico che ha portato alla morte di questo vescovo mite e affabile, e delle sue conseguenze.
Padre David Jaeger, nella sua seguita rubrica Orizzonti (p. 7) getta uno sguardo alla situazione della Turchia oggi e alla deriva islamica che il Paese sembra aver imboccato, non senza qualche colpa dell’Occidente.
Padre Gwenolé Jeusset, che vive a Istanbul e ha conosciuto bene mons. Padovese, nella sua rubrica Islamochristiana (p. 55) invita invece a rimettersi in cammino, come Chiesa, sulla strada del dialogo e dell’apertura verso l’altro, un percorso che lo stesso vicario dell’Anatolia ha indicato nell’impegno quotidiano durante tutta la sua vita.
Un «chicco di grano» – come ha indicato il cardinal Dionigi Tettamanzi durante il solenne funerale nel duomo di Milano il 14 giugno – «caduto in terra» e silenziosamente destinato a portare frutto.