La signora Claudette Habesch, palestinese, segretario generale di Caritas Jerusalem, ha deciso di avviare una vertenza legale sui diritti di proprietà degli immobili che la sua famiglia possedeva a Gerusalemme Ovest prima del 1948. La sua è una battaglia di principio, in polemica con le sentenze dei tribunali israeliani che consentono ai cittadini ebrei di rientrare in possesso di immobili nei quartieri orientali della città.
Per chi frequenta i cristiani di Terra Santa non è un nome nuovo quello di Claudette Habesch: da anni è la responsabile di Caritas Jerusalem, volto prezioso della carità testimoniata dalla Chiesa anche nella Gerusalemme lacerata di oggi. Di un aspetto, però, molto meno conosciuto di lei si è occupato qualche giorno fa Haaretz con un bell’articolo di Akiva Eldar. Il giornalista e questa donna si sono infatti recati al numero 6 di Molcho Street, a Gerusalemme Ovest. Cioè nella casa dove Claudette è nata settant’anni fa e che ha dovuto abbandonare nel 1948.
Piccolo ripasso di geografia per chi ne ha bisogno: Gerusalemme Ovest è la zona «ebraica» della città, quella cioè che già prima del 1967 era parte dello Stato di Israele. Dunque non stiamo parlando dei quartieri conquistati militarmente con la Guerra dei Sei giorni e poi unilateralmente annessi dallo Stato ebraico, al centro di tutti gli scontri che conosciamo: Gerusalemme Ovest è da tutti riconosciuta come Israele. Però questo non significa che dietro a questo dato di fatto non ci siano comunque anche qui delle ferite. Perché si tende a dimenticare che prima del 1948 pure a Gerusalemme Ovest abitavano degli arabi e che il loro trasferimento nella parte Est della città fu un risultato di quella guerra. Ed è una ferita che la follia della gestione attuale dei rapporti di forza nella Città Santa sta riaprendo in maniera prepotente.
È per questo motivo che Akiva Heldar è andato insieme a Claudette Habesch al numero 6 di Molcho Street, a due passi dalle vie dello shopping della moderna capitale degli ebrei. Perché intorno a questo edificio la direttrice di Caritas Jerusalem sta per far partire una battaglia legale simbolica importante, legata a quanto invece sta succedendo a Gerusalemme Est. Da mesi va infatti avanti il braccio di ferro su Sheikh Jarrah, il quartiere dove a un gruppo di ebrei della destra religiosa nazionalista è stato riconosciuto il diritto di ritornare in alcune case abbandonate proprio durante la guerra del 1948. Come in ogni guerra anche allora – da una parte come dall’altra – ci furono profughi che si spostarono per andare oltre la linea del fronte. E l’armistizio del 1949 arrivò a fotografare lo stato di fatto. Così alcuni arabi che se n’erano andati da Gerusalemme Ovest si insediarono nelle case lasciate vuote dagli ebrei a Gerusalemme Est e nacque Sheikh Jarrah. Solo che in una sbornia nazionalistico-identitaria priva di alcuna lucidità politica un tribunale israeliano l’anno scorso ha decretato che le case che gli ebrei avevano comprato in epoca ottomana a Gerusalemme Est vanno restituite. Così alcune famiglie arabe sono già state sfrattate da Sheikh Jarrah e altre rischiano di soffrire la stessa sorte. E un gruppo di ebrei nazionalisti vive già qui, protetto dall’esercito (gente che ha mostrato tutta la sua «indole pacifica» durante l’ultima festa di Purim inneggiando al dottor Goldstein, il colono autore della strage dei musulmani a Hebron nel 1994). Contro tutto ciò si svolge la protesta che in questo quartiere i pacifisti israeliani tengono ormai da un anno ogni venerdì.
Attraverso la sua azione legale Claudette Habesch vuole porre alla Corte Suprema israeliana una domanda molto semplice: in forza di che cosa io non dovrei avere lo stesso diritto sulla casa che era di proprietà di mio padre in Molcho Street? Nello stesso 1948 la sua famiglia fuggì ad Amman a causa della guerra lasciando una casa che era sua. Poi nel 1961 lei sposò un palestinese e insieme andarono a vivere a Shufat, a Gerusalemme Est, l’unico campo profughi che anche dopo l’annessione è rimasto all’interno dei confini municipali. Intanto per la Legge sulle proprietà degli assenti del 1950 – la norma in forza della quale le proprietà degli arabi furono requisite dallo Stato di Israele – la casa di Claudette fu acquistata dalla famiglia di Fanny Roselaar, una vedova oggi novantenne. La direttrice di Caritas Jerusalem ha già messo in chiaro che non intende mettere in discussione la presenza della signora Roselaar in quella casa, ma solo affermare il principio che nessuno e da nessuna parte a Gerusalemme oggi può essere sfrattato da una casa che ormai è sua. Si tratta, dunque – e lo ripetiamo ancora – di una battaglia simbolica che mira soprattutto a ristabilire la verità sulla storia: Akiva Eldar cita una ricerca dell’Onu in cui si sostiene che ben un terzo di Gerusalemme Ovest sorge su terreni che prima del 1948 erano di proprietà araba. Sarebbe bene ricordarlo a chi porta in tribunale vecchie carte per far valere pretesi diritti su Gerusalemme Est.
C’è, però, anche un’altra ragione che rende la battaglia di Claudette Habesch particolarmente importante: è un modo per mettere le mani avanti anche su un possibile nuovo uso della Legge sulle proprietà degli assenti. Dalla «riunificazione» del 1967 la destra israeliana ha sempre fatto pressioni per utilizzare questa norma anche a Gerusalemme Est in modo da poter requisire le proprietà dei palestinesi della diaspora. Ma l’Avvocatura dello Stato si è sempre opposta, sostenendo che questo tipo di applicazione della norma aprirebbe un contenzioso internazionale dannoso per Israele. Con la costruzione del muro – però – il boccone si è fatto più ghiotto perché le proprietà «vuote» sono aumentate: si sono aggiunte, infatti, anche quelle dei palestinesi che sono «assenti» semplicemente perché a Gerusalemme Est non vi possono più accedere, risiedendo magari anche solo a una manciata di chilometri di distanza nei Territori. In particolare ci sono alcuni specifici edifici già occupati dai coloni per i quali si vorrebbe far valere in tribunale la Legge sulle proprietà degli assenti. E i nuovi vertici dell’Avvocatura dello Stato, oggi molto più vicini all’attuale governo, stanno tenendo una posizione ambigua. C’è – dunque – il rischio concreto che si crei un altro pericoloso precedente.
Riaprire il conto sul 1948 non è un modo per sognare un passato che non tornerà più. È l’unica strada oggi possibile per porre un argine a chi stoltamente a Gerusalemme continua ad aprire nuove ferite.
Clicca qui per leggere l’articolo di Haaretz su Claudette Habesch
Clicca qui per leggere una scheda di Ir Amin sulla Legge sulle proprietà degli assenti
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