Nel mondo politico israeliano il clima è incandescente. Perché ieri a Bruxelles si è svolto un vertice segreto tra il ministro dell'Industria israeliano Ben Eliezer e il ministro degli Esteri turco Davutoglu per cercare di riannodare qualche filo del rapporto tra i due Paesi. Il tutto, però, è avvenuto all'insaputa del ministro degli Esteri israeliano Lieberman, che non l'ha presa affatto bene...
Non fa caldo solo in Italia in queste ore: anche nel mondo politico israeliano il clima è incandescente. L’ultimo degli effetti a catena della sciagurata «operazione flottilla» è aver fatto esplodere una buona volta la questione Lieberman. Perché ieri a Bruxelles si è svolto un vertice segreto tra il ministro dell’Industria israeliano Ben Eliezer e il ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu per cercare di riannodare almeno qualche filo dello storico rapporto tra i due Paesi. Il tutto, però, è avvenuto all’insaputa del ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman, che ovviamente non l’ha presa affatto bene.
Siamo alla prima burrasca seria nei rapporti di forza all’interno del governo Netanyahu. Non è ancora una crisi, dal momento che Yisrael Beitenu, il partito di Lieberman, si è affrettato a precisare che non ha nessuna intenzione di lasciare la coalizione. Ma di puntare i piedi sì. Perché in gioco c’è evidentemente il ruolo di Lieberman (e dei laburisti, il partito di Ben Eliezer) all’interno del governo. Un incontro del genere organizzato all’insaputa del ministro degli Esteri è infatti un’anomalia colossale. Perché non si trattava di un’iniziativa personale di Ben Eliezer: ad aprire la strada al tentativo di riavvicinamento è stato il presidente americano Barack Obama, in un incontro con il premier turco Erdogan svoltosi a margine del G20 di Toronto. E il ministro dell’Industria è partito per Bruxelles con il via libera di Netanyahu, oltre che del leader del suo partito, nonché ministro della Difesa, Ehud Barak.
Non ci vuole molto a capire perché Lieberman sia stato tagliato fuori. Intanto i turchi non hanno dimenticato il ruolo incendiario giocato dal leader di Yisrael Beitenu nel progressivo deterioramento dei rapporti tra i due Paesi. È diventata ormai proverbiale l’umiliazione inflitta a gennaio dal suo vice Danny Ayalon (ex ambasciatore a Washington e vero pilota della politica internazionale di Yisrael Beitenu) all’ambasciatore di Ankara: venne fatto sedere di proposito su una poltrona più bassa e senza stretta di mano per dare l’idea del disappunto di Israele per alcune affermazioni di Erdogan. Ma anche Obama qualche idea in proposito deve essersela fatta. Del resto è eloquente la serie di articoli che il blog israeliano Coteret pubblica sotto il titolo Il nuovo corso della diplomazia israeliana: una lunga serie di gaffe e performance muscolari inflitte a rappresentanze di mezzo mondo in visita in Israele. L’ultima in ordine di tempo è stata la mail ironica inviata a fine maggio ai corrispondenti stranieri con i consigli sui migliori ristoranti di Gaza.
L’inadeguatezza della coppia Lieberman-Ayalon ha contribuito in maniera decisiva all’isolamento internazionale senza precedenti in cui si trova oggi Israele. Washington da tempo tratta le questioni più importanti con Barak, scavalcando il ministro degli Esteri. E adesso – all’ennesima vigilia di un vertice tra Obama e Netanyahu – ha messo un’altra volta Netanyahu di fronte alle sue responsabilità. Ancora una volta – però – il premier, in maniera puerile, ha provato a svicolare, accettando di inviare sì a Bruxelles Ben Eliezer per accontentare Washington, ma senza coinvolgere il governo. Come era prevedibile la stampa turca gli ha rotto le uova nel paniere. E adesso deve rimettere insieme i cocci.
Non sarà però così facile, perché Lieberman adesso alzerà il prezzo per depotenziare il ruolo di Barak all’interno della coalizione. Ma si tratta di un equilibrio delicato: anche i voti dei laburisti sono comunque determinanti. E da tempo buona parte di ciò che resta dello storico partito della sinistra sionista preme per far saltare il governo e rinegoziare un accordo di unità nazionale tra Likud, Laburisti e Kadima. Senza contare l’altro fronte molto problematico in queste ore per Netanyahu: il caso Shalit. Ogni giorno che passa aumentano i partecipanti alle manifestazioni organizzate per chiedere al governo di fare di più per ottenere la liberazione del caporale rapito ormai quattro anni fa.
Nel bel mezzo di tutto questo va segnalato, infine, che l’altra sera Abu Mazen ha invitato a Ramallah alcuni giornalisti dei principali quotidiani israeliani per un’intervista a tutto campo. Un’offensiva diplomatica in grande stile in cui il presidente palestinese ha messo sul tavolo le sue posizioni sul processo di pace, non ha mancato di fare autocritica («aveva ragione Abba Eban: noi palestinesi non manchiamo di perdere le nostre occasioni», ha detto) e ha persino aperto a una forza di pace internazionale nello Stato palestinese una volta definito lo status finale. Il fatto che di tutto questo sull’agenzia palestinese Maan non ci sia nemmeno traccia stamattina, solleva qualche dubbio sulla portata di queste affermazioni. Alla fine del suo colloquio, però, Abu Mazen ha scherzato sul tipo di sigarette che fuma Tzipi Livni: nel ribaltone a Gerusalemme, evidentemente, lui ci spera eccome.
Clicca qui per leggere l’articolo di Yediot Ahronot sul vertice segreto di Bruxelles
Clicca qui per leggere l’articolo di Coteret sulla mail inviata ai corrispondenti stranieri
Clicca qui per leggere il resoconto di Haaretz sull’incontro con Abu Mazen