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Road to Jerusalem, un viaggio, una responsabilità

Peter Clan, Agesci Saronno I
18 maggio 2010
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<i>Road to Jerusalem</i>, un viaggio, una responsabilità
Gli scout del Peter Clan di Saronno all'aeroporto di Tel Aviv, durante il loro viaggio in Israele e Palestina nell'estate 2009.

L'esperienza di un gruppo scout di Saronno (Varese) che dopo il viaggio in Terra Santa, l'estate scorsa, ha deciso di condividere l'esperienza con i propri concittadini - e non solo - tramite una mostra con la quale hanno riproposto le emozioni provate, i volti incontrati, le parole raccolte.


Prima ancora di cercare un bus, una cartina, la direzione da prendere, prima di guardarci attorno, quel che ha attirato la nostra attenzione appena usciti dall’aeroporto di Tel Aviv è stato l’odore. Abbiamo «ascoltato» l’odore, sconosciuto e insolito, pesante e coinvolgente che in un istante ci ha paralizzato. Dopo un anno di preparativi, finalmente, eravamo in Terra Santa e quell’odore è stato il nostro primo, curioso, impatto con Israele.

Cosi è stato il nostro Viaggio, nell’estate 2009.

Abbiamo incontrato, ci siamo fatti coinvolgere, abbiamo ascoltato e creduto, abbiamo raccolto, lentamente, ogni immagine, ogni volto, ogni racconto.

In Palestina ci siamo sentiti ospiti, in un modo insolito, mai provato prima.

Dalla famiglia benestante cattolica di Betlemme al professore nel campo profughi di Gerico, tutti ricevono l’ospite con ogni onore, offrendo tutto ciò che hanno, anche l’impossibile.

Tentare di ricambiare con doni o sbrodolarsi in ringraziamenti non bastava, solo una cosa li avrebbe accontentati: noi dovevamo essere i loro testimoni, essere i loro media.

Al ritorno in Italia, ci siamo resi conto che il nostro viaggio, senza una testimonianza, sarebbe rimasto un ricordo e forse sarebbe stato un fallimento.

Dovevamo far conoscere il nostro viaggio e permettere che le testimonianze da noi raccolte non rimanessero celate nei nostri cuori, nascoste in una Terra lontana.

Ci sembrò che il mezzo più efficace per raccontare la nostra esperienza potesse essere una mostra fotografica. Cosi, dopo pochi mesi e tanti sforzi, decidemmo di organizzarla per dicembre: quattro mesi dopo il ritorno dal nostro viaggio, concedendoci il tempo necessario per interiorizzare l’esperienza vissuta, cosi da riuscire a ritrovare un’obiettività a volte offuscata dagli affetti nati in Palestina.

La mostra, attraverso le foto del viaggio e testi riguardanti i luoghi visitati e gl’incontri fatti, ha cercato di rendere i nostri concittadini partecipi e coscienti della situazione israelo-palestinese, ma soprattutto, di mantenere la promessa d’essere testimoni delle persone, dei volti e di tutto ciò che ci è stato raccontato, che abbiamo potuto vedere e toccare.

Si legge dal primo pannello della mostra:

Quale gioia, quando mi dissero: Andremo alla casa del Signore
E ora i nostri piedi si fermano alle tue porte, Gerusalemme!
(Sal 122,1-2)

…ma nessuno ce lo ha detto, l’abbiamo deciso noi.
Gerusalemme ha un richiamo antico, un respiro magico.
Sono le quattro del mattino, ci alziamo intorpidite dalla notte e umide di rugiada.
Il sole non si è ancora degnato di comparire o forse vuole solo
mantenere il segreto ancora per qualche minuto.
L’aria è stranamente fredda, ma pian piano realizziamo che è tutto vero.
Siamo qui. Siamo a Gerusalemme.
La città, sotto la nostra terrazza, ancora dorme.

La mostra è durata cinque giorni, durante i quali sono stati organizzati diversi eventi attinenti al tema per permettere ai visitatori di avere un quadro il più completo possibile. Nelle diverse sale si ascoltavano musiche arabe ed ebraiche.

Le persone si fermavano a leggere i testi scritti appositamente per la mostra:

Entrare in un campo profughi è qualcosa di strano.
In ogni scritta, in ogni voce, su ogni muro si sente e si vede
il desiderio di tornare.
Una chiave è il biglietto da visita del campo.
Enorme, all’ entrata, su un imponente portale a forma di serratura,
ci ricorda cosa sperano di riabbracciare:
fermamente, instancabilmente,
ancora stringono le chiavi della Loro Casa,
della Loro Casa nella Loro Terra.

Nelle sere successive si sono tenuti incontri teorici, d’impianto storico-politico, curati dal circolo culturale Iskra di Saronno e dell’associazione Emergency. È stata proposta la visione del film Valzer con Bashir sui massacri di Sabra e Shatila.

I visitatori della mostra continuano nel loro percorso, guardano le foto e leggono:

Sono un medico, un direttore, un coltivatore,
sono Siriano e vivo in un territorio occupato: le Alture del Golan.
Sono nato qui, in questo posto che io ancora chiamo Siria,
dove gli israeliani hanno occupato e distrutto il 90 per cento dei villaggi,
 e con quelli, gli abitanti con i mezzi più ignobili: mine e paura, mezzi che sembrano immortali… L’acqua.
Il vero motivo per cui effettivamente loro sono qui.
Acqua che ora non è più a libera disposizione di noi siriani, ma razionata.

O ancora:

«Cosa succede?», chiediamo in un inglese poco convinto.
«Manifestiamo contro l’apertura al Sabato di un parcheggio», è la risposta quasi improvvisa, quasi insperata.
Non capiamo.
«Perché il sabato è
Shabbat, e in Shabbat nessuno può lavorare, né guidare»
«Shabbat è il tuo giorno, il giorno in cui ti riposi perché sei un Uomo, e perché non puoi lavorare sempre».
È il giorno in cui ti riappropri del tempo per te, solo per te.
È l’incontro tra due mondi, tra il mondo dei centri commerciali aperti sempre, e quello in cui una volta alla settimana tutto si ferma: non si guida, non si cucina, non si accende la luce né la televisione, non si usa alcun apparecchio elettronico né meccanico… un tempo in cui c’è solo l’uomo.
Shabbat è sacro, e a Gerusalemme è ancora più sacro: è un dono che Dio ha fatto agli uomini, e noi dobbiamo santificare lo Shabbat.

Moltissime persone hanno visitato la mostra, la gioia più grande è stata quando ci è stato chiesto di esporla in scuole e in eventi comunali.

Questo è stato il nostro più grande successo. Siamo riusciti a far conoscere ad amici, parenti o a perfetti sconosciuti quell’odore, quel Profumo, quell’insolito, curioso profumo che tra mille, solo ora, sapremo riconoscere.

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