Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia

Per un islam contemporaneo

Daniele Civettini
11 maggio 2010
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Per un islam contemporaneo

L’egiziano musulmano Tarek Heggy - già brillante dirigente di multinazionali petrolifere in Medio Oriente oltre che docente universitario e pubblicista - propone in questo libro un assaggio del suo pensiero. Con giudizi che possono suonare scomodi e urtanti a tanti suoi connazionali, suggerisce ai musulmani di intraprendere una strada ispirata da due criteri fondamentali: la divisione tra fede e politica e la supremazia dell’intelletto sulla credenza.


«Negli ultimi quarant’anni ho analizzato la struttura della mente araba da vari punti di vista. Per iniziare, io stesso sono figlio di questa regione arabofona e quindi ho osservato il fenomeno dall’interno, ma soprattutto l’ho affrontato da studioso che ha scritto libri e articoli dedicati alla mentalità e alla cultura arabe. Ho avuto altresì l’opportunità di interagire con la struttura mentale e culturale araba da un’altra angolazione negli anni in cui sono stato presidente e direttore generale di una multinazionale del petrolio in Medio Oriente, anni durante i quali ho vissuto a stretto contatto con il prodotto finale della cultura araba, ovvero l’uomo arabo nel campo del lavoro. Il quarto e ultimo punto di vista dal quale ho osservato la cultura e la struttura della mente araba è stato quello di docente di materie connesse alle scienze e alle tecniche dell’amministrazione in molte università del mondo arabo».

La vicenda intellettuale e politica dell’egiziano musulmano Tarek Heggy – autore del brano appena letto e già brillante dirigente della Tana Petroleum e della Shell in Medio Oriente oltre che docente universitario e pubblicista – si potrebbe definire come l’avventura di una poderosa Cassandra, che ha acquisito profondamente i valori migliori del sistema occidentale e ha scelto, a partire da un quarto di secolo fa, di veicolare a getto continuo idee così vere, penetranti e costruttive sul mondo arabo (e in particolare sul suo Egitto e sull’Arabia Saudita) da rischiare di rimanere voce isolata, prodotto di nicchia, per motivi diversi, dentro e fuori dalla sua patria. Le prigioni della mente araba, edito da Marietti e curato da Valentina Colombo, raccoglie alcuni brevi scritti di Heggy, un assaggio rispetto ai tredici titoli ascritti all’intellettuale egiziano, ma sufficienti per capire bene le linee principali del pensiero di questo uomo d’affari e di concetto che dal 1978 esprime con accento più pragmatico che idealista e con tutti i mezzi divulgativi a sua disposizione (pubblicazioni, corsi accademici, conferenze) i giudizi più scomodi e urtanti, se recitati davanti a orecchie non liberali, come spesso può accadere a chi vive a Levante e ha lo sguardo rivolto a Ponente. E così, denunciare i soprusi contro i cristiani copti in Egitto e i musulmani sciiti in Arabia Saudita, definire una disgrazia la discriminazione verso le donne o rimpiangere i tempi (nel ventesimo secolo) in cui si traducevano in arabo i classici del pensiero occidentale non rappresenta per Heggy l’afflato di un filantropo verso le minoranze sofferenti, ma il corollario di un uomo che conosce e indica al suo mondo l’unica strada verso il benessere collettivo, fondata su due criteri fondamentali: la divisione tra fede e politica, la supremazia dell’intelletto sulla credenza.

Perché l’Occidente ha intrapreso questa strada e l’islam non l’ha fatto? Per Heggy l’islamismo radicale politico deriva la sua attualmente vasta e perniciosa diffusione da due anomalie storiche, ossia dal fatto che il pensiero di Averroè (icona della religione che si apre alla ragione) abbia avuto più successo nell’Europa cristiana e molto meno nell’orizzonte islamico e, in secondo luogo, dalla secolare connivenza tra wahhabismo e la dinastia saudita, capace di sdoganare ovunque questa lettura subnormale e bellicosa del Corano grazie ai ricavi enormi del petrolio. Per correggere i frutti perversi di questi bivi male imboccati, molti Paesi islamici dovrebbero così percorrere a rovescio le acque della Storia, garantendosi, per cominciare, classi dirigenti diverse da quelle attuali, capaci di migliorare la cultura – in primis produttiva – delle popolazioni loro soggette, invece di irreggimentarle nell’odio ai «satana» occidentali. Difficile, ma conveniente per tutti.

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