Si innalzano monumenti agli antenati e a coloro che spesero la vita per la Chiesa o per la patria. Non dobbiamo, quindi, meravigliarci se, lungo i secoli, i fedeli abbiano innalzato chiese o monumenti a coloro che lavorarono per il bene dei fratelli. E per i poveri e gli ammalati, in particolare. Tra questi benefattori dell’umanità è da annoverarsi san Marone, che visse come monaco eremita sul colle di Qal’at Kalota, nella regione, chiamata, in seguito, Jebel Sim’an.
Meritò il privilegio di celebrare la vita e le opere di questo santo, Teodoreto, antiocheno di nascita, monaco nel monastero di Nikertai, presso Apamea, e, poi, trentenne appena, vescovo della città di Cirro, situata 60 chilometri a nord di Aleppo, Siria.
Per le sue buone opere, per la vita di penitenza, di cui lasciò un luminoso esempio a tutta la regione, per i miracoli che compì in favore degli ammalati e dei poveri e per la sua vita apostolica, la gente di Brad onorò san Marone con un sepolcro, pervenutoci quasi intatto dopo circa mille e cinquecento anni.
Appena si sparse la notizia della morte del santo eremita, la gente della cittadina di Brad si mosse. Il luogo era di prima importanza; lo dice l’iscrizione ritrovata a Bab el-Hawa presso il luogo, dove, nel 418, fu costruito un grandioso monastero, sotto la direzione dell’architetto Kyris Markianos, la cui fama si era sparsa nella Siria del nord dopo la costruzione di tre basiliche nei villaggi di Babisqa, di Ksejbe e di Dar Qita.
Che cosa fece il clero di Brad per onorare degnamente il corpo di san Marone? Adattarono la più grande basilica della regione, che prima era un tempio pagano, e, poi, per ordine dell’imperatore Teodosio il Grande, divenne chiesa. Era la chiesa più grande della Siria, misurava 42 metri per 22. Tolsero il muro della parete settentrionale, vicino alla porta del diakonikon, e al suo posto costruirono un grande arco, che permetteva ai fedeli, dopo la liturgia eucaristica, di passare dalla chiesa al tempietto di san Marone.
Alla notizia della morte dell’eremita, accorsero gli abitanti dei villaggi di Kalota, di Kharab Chams, di Kabbachin, di Borg el-Qas, di Kefer Nabo e Basufan, per portarsi via il corpo del santo. Accorse anche la gente della cittadina di Brad che, allora, era il capoluogo dei centri abitati del Jebel Sim’an, aiutata, probabilmente, dai funzionari e dai soldati che erano agli ordini del capo della regione. La lotta, che divenne poi leggendaria, diede i suoi frutti. Ed essi poterono portarsi via il corpo del santo e fare di Brad un centro di pellegrinaggi.
Ma affinché non venisse gente male intenzionata e rubasse quel tesoro, il sarcofago fu collocato in una grande nicchia, absidata e protetta, nella parte superiore, da una inferriata, di cui si possono vedere ancora i fori dove poggiavano i ferri. La parte inferiore, invece, fu munita di un cancello che i responsabili aprivano nelle grandi solennità e in occasione della visita di qualche benefattore illustre.
Per incoraggiare i devoti nella loro devozione al santo non martire, vennero posti, a destra e a sinistra della nicchia absidata, due reliquiari, contenenti le reliquie di martiri. Questi due reliquiari li vedemmo la prima volta nel 1972, quando da Aleppo andai pellegrino a Brad, assieme ai padri Ignazio Peña e Romualdo Fernandez. Il reliquiario che sta alla destra della nicchia era stato già profanato, mentre quello di sinistra, vuoto ma intatto, era al suo posto primitivo. Solo nel 2006 fu distrutto, in seguito a una rissa tra gli abitanti del posto.
Perché furono collocati quei due reliquiari in quel luogo e non nel Martyrion della basilica? Furono posti in quel luogo proprio per dare liceità alla devozione verso i santi non martiri. Lo prova l’uso del Quinto e Sesto secolo, presso i monaci siriani. A Bachakuh, nel Jebel Baricha settentrionale, un eremita fu seppellito nella piccola camera, dove era vissuto, e siccome la gente veniva in pellegrinaggio, fu posto nella parete orientale della camera, sopra il sarcofago dell’eremita, un reliquiario contenente reliquie di martiri. Un altro esempio l’abbiamo a Deyr Gharbi, a Ovest di Kefer Kila, nel Jebel el-A’la. Le tombe di tre monaci venerati avevano, dalla parte del capo, un piccolo reliquiario, contenente le reliquie di un martire. Tutte queste tombe le abbiamo viste a Deyr Gharbi nel 1984, e quello di Bachakuh, l’ultima volta, nel 2009, nel mese di ottobre. I due reliquiari di Brad, accanto alla tomba di san Marone, non potevano che avere lo stesso significato: la venerazione verso un santo non martire, doveva onorare, prima il martire, e poi il confessore, cioè il santo non martire.
L’aver costruito una nicchia absidata di una ventina di metri quadrati, circondarla con muro, porre due reliquiari accanto all’abside, abbellire il pavimento del piccolo tempio, con mosaico e iscrizioni, era un segno sicuro che colui le cui spoglie erano venerate nell’abside, non appartenevano a una persona qualunque, ma a una persona religiosa, che era vissuta santamente e aveva lavorato per il bene spirituale dei fedeli. Non c’è, quindi, spazio per un minimo dubbio. E coloro che dubitano, devono dirci chiaramente per quale ragione dubitano.
Quanto tempo durò quel fervore verso il defunto che ebbe l’onore di avere una tomba unica in tutta la regione delle città morte? Le circostanze politiche non si verificarono che nel 968 quando il generale bizantino Barda Foca il giovane occupò Antiochia, e nel 975 quando l’imperatore Giovanni I Zimisce occupò la Siria occidentale. Fu solo allora che monaci, vescovi e patriarca si stabilirono definitivamente nelle regioni oltre l’Eufrate, sotto l’autorità dei principi arabi. I siriani civili e religiosi del nord della Siria preferirono la sudditanza a un principe arabo anzichè essere sudditi di Bisanzio.
Non sappiamo sin quando fu onorata la tomba di san Marone; sappiamo solo che il cranio del santo fu trafugato e portato a Foligno, in Italia, perchè a Brad non era rimasto nessuno. Solo qualche anno fa la reliquia è stata riconsegnata al patriarca maronita del Libano.