Non solo i cristiani emigrano dalla Terra Santa. Anche musulmani ed ebrei. Il governo israeliano pensa a questi ultimi e annuncia l'adozione di una serie di misure per agevolarne il rientro. La decisione è stata annunciata ieri a Gerusalemme dal primo ministro Benjamin Netanyahu. Sono 750 mila i titolari di passaporto israeliano che vivono all’estero.
(Milano/g.s.) – Si parla spesso dell’emigrazione dei cristiani dalla Terra Santa. È meno noto a molti di noi che ad emigrare sono anche musulmani ed ebrei, insoddisfatti delle prospettive di vita che quella terra è oggi in grado di offrire ai suoi popoli. L’emigrazione di cittadini ebrei preoccupa il governo israeliano che ha deciso di varare un piano per incoraggiare il rientro di almeno 15 mila persone ogni anno, così da erodere la cifra di 750 mila titolari di passaporto israeliano che attualmente vivono all’estero (il 60 per cento in Nord America e il 25 per cento in Europa).
La decisione è stata annunciata ieri a Gerusalemme dal primo ministro Benjamin Netanyahu durante la riunione settimanale dell’esecutivo.
Il piano prevede tra l’altro di concedere a chi deciderà di tornare in Israele agevolazioni in materia fiscale, previdenziale, sanitaria e scolastica. Netanyahu ha osservato che molti di coloro che se ne sono andati negli anni scorsi potrebbero essere indotti a tornare anche dalla crisi internazionale, alla quale l’economia israeliana sta facendo fronte meglio di quanto accade in altri Paesi occidentali. Israele intende anche avvalersi delle competenze che questi connazionali hanno maturato all’estero: «Essi – ha osservato il primo ministro – hanno il nostro stesso retroterra e condividono la nostra lingua e cultura. Ma hanno anche familiarità con altre culture, creatività e standard lavorativi, che potremmo essere interessati ad adottare anche qui».
L’iniziativa del governo Netanyhau non è del tutto nuova. Il quotidiano Haaretz riferisce che misure analoghe, e con lo stesso obiettivo, furono varate anche tra il 2007 e il 2009 e valsero a far rimpatriare 11 mila persone. Questa volta il progetto è più ambizioso. Non sfugge la sua valenza politica oltre che economica: Israele ha bisogno di rafforzare numericamente la componente ebraica della sua società, in seno alla quale i palestinesi con cittadinanza israeliana sono già un quinto della popolazione e hanno in media un tasso di natalità superiore a quello dei, peraltro prolifici, connazionali ebrei.