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Benedetto XVI e il giudaismo. Che aria tira?

Edward Pentin
29 aprile 2010
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Benedetto XVI e il giudaismo. Che aria tira?
26 maggio 2006. Benedetto XVI in visita al campo di concentramento nazista di Auschwitz, in Polonia.

Le relazioni fra la Chiesa cattolica e il giudaismo non sono diventate più facili con il pontificato di Benedetto XVI. Le dispute sono state frequenti e a tratti aspre, anche se non sono mancati passaggi positivi, come il viaggio del Papa in Israele e la visita alla sinagoga di Roma. Come vanno allora le cose? Lo abbiamo chiesto al rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, a padre Norbert Hofmann e all’ambasciatore Mordechay Lewi.


(Roma) – Le relazioni fra la Chiesa cattolica e il giudaismo non sono state facili nei primi cinque anni di pontificato di Benedetto XVI.

Che si trattasse della revoca della scomunica al vescovo lefebvriano antisemita Richard Williamson, o del decreto che proclama venerabile Pio XII, le dispute sono state frequenti e a tratti aspre.

Non sono mancati, tuttavia, anche momenti decisamente positivi, come il pellegrinaggio del Santo Padre in Israele nel maggio 2009 e la visita alla sinagoga di Roma nel gennaio di quest’anno.

Tra chi è coinvolto nel dialogo ebraico-cattolico c’è generalmente consenso sul fatto che i conflitti e le polemiche, che talvolta hanno gettato un’ombra sui rapporti sono, insieme, acqua passata e ordinaria amministrazione.

«(Benedetto XVI) è un grande Papa con un personalità fortissima, ma forse la gente non comprende la profondità del suo pensiero», dice il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, interpellato da Terrasanta.net lo scorso 27 aprile. Decisamente critico nei confronti della Chiesa in controversie recenti, il rabbino aggiunge: «Abbiamo avuto una relazione complicata con lui perché le relazioni tra cattolici ed ebrei sono complicate per loro natura, ma ora abbiamo a che fare con un teologo, così è impossibile evitare certi problemi».

Padre Norbert Hofmann, segretario della Commissione vaticana per i rapporti religiosi con gli ebrei, osserva che questo Papa ha fatto in cinque anni quello che Giovanni Paolo II ha compiuto in 27 anni di pontificato. «Si è recato in Israele, è andato ad Auschwitz, ha messo piede già in tre sinagoghe, cosa che non ha fatto nessun altro papa, ad eccezione di Pietro, forse!», aggiunge ironico Hofmann, che chiosa: «Lo conosco personalmente e so che porta in cuore il desiderio di migliorare i rapporti con il popolo ebraico».

Padre Hofmann non dà troppo peso alle controversie. «Sono da mettere in conto – dice -. Non è possibile evitarle se si vuol dialogare con gli ebrei». Il religioso esprime particolare compiacimento per la visita del Papa alla sinagoga romana e sottolinea che Benedetto XVI ha le «qualità personali» giuste per il dialogo: «È limpido e sincero, e ha un modo personale di accostare le persone molto umile e discreto».

Durante questo pontificato si sono registrati pochi progressi nei negoziati in corso per dare applicazione all’Accordo fondamentale, il trattato che, nel 1993, ha posto in essere le relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Stato di Israele.

Ma l’ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, Mordechay Lewi, dice che lo Stato ebraico considera l’attuale Papa un buon amico e aggiunge che le dispute col giudaismo non hanno causato seri problemi nelle relazioni bilaterali. «Non ci lasciamo ingannare dagli incidenti di percorso, non li chiamerei contese, dovuti più all’apparato che al Papa», osserva Lewy. Poi aggiunge che Benedetto XVI «è mosso da buone intenzioni», ma che la «macchina», cioè la Curia romana, «mostra evidenti difficoltà». In effetti c’è la netta sensazione che la Curia non segua fino in fondo il Papa su varie questioni. «Questo Papa gioca un ruolo veramente molto difficile», riflette Lewy.

Di Segni ammira in particolare l’onestà con cui il Papa si pone come mediatore: «è esattamente quello che sembra», dice. Il rabbino spera che la controversia su Pio XII possa ricomporsi, ma non è poi così fiducioso. Nondimeno è soddisfatto di com’è andata la visita papale alla sinagoga romana il 17 gennaio scorso. Secondo Di Segni l’evento ha dimostrato che questo pontificato non intende prendere le distanze da un percorso ormai ben delineato. «Avevamo bisogno – dice il rabbino – di un segnale in tal senso, altrimenti tutte le polemiche e le vicende recenti avrebbero danneggiato il clima. Per noi è la conferma che la Chiesa intende mantenere la rotta».

Circa il futuro, il Papa, con la collaborazione anche di padre Hofmann, ha in animo di rivolgersi ai giovani cattolici, ebrei e cristiano-ortodossi per incoraggiarli a lavorare di più insieme.

In definitiva, sembra quindi che nonostante alcune fasi difficili degli ultimi cinque anni, rimanga una buona dose di ottimismo e di calore. Benedetto XVI continua a guadagnarsi rispetto e gli viene riconosciuto d’essersi sempre impegnato a migliorare i rapporti.

«È Benedetto XVI il Papa con cui dobbiamo confrontarci – dice il rabbino Di Segni – ed è un onore avere a che fare con lui, nonostante tutte le difficoltà».

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