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Tempi duri per i «seminatori d’odio»

padre Gwenolé Jeusset ofm
19 marzo 2010
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Recentemente, nella piccola parrocchia cattolica di cui sono incaricato a Istanbul, ho svolto una conferenza sul tema «Islam e cristianesimo: somiglianze e differenze».  L’incontro ha richiamato più di cinquanta persone, un vero e proprio evento! Sullo stesso tema, negli ultimi anni, eravamo riusciti a smuovere al massimo cinque persone. Dobbiamo cercare le ragioni di un simile successo in una comunicazione più efficace o nel fatto che l’argomento ora riscuote maggiore interesse?

Senza dimenticare i difficili problemi di convivenza, il maggior desiderio di conoscenza dell’altro non mi sembra un fenomeno riconducibile alla sola Istanbul.

Il futuro prossimo ci dirà se stiamo arrivando a un crocevia. Dopo le guerre sacralizzate, dopo lo spirito da guerra santa e, più di recente, dopo la certezza che i problemi tra religioni e civiltà non possono risolversi a colpi di cannone, arriveremo forse a una nuova fase, quella in cui si è ormai stanchi di dare ascolto ai pessimisti e ai seminatori di odio. Un buon numero di persone, sensibili finora soltanto agli avvertimenti circa il pericolo dell’immigrazione e dell’islamizzazione, cominciano a chiedersi: «Va bene, ma possiamo lasciarli morire in mare? Bisogna agire diversamente». Inoltre, al di là della paura, per molti cristiani, come ho potuto toccare con mano nel caso della mia conferenza,  l’influenza del concilio Vaticano II continua a farsi sentire.

Mi si potrà obiettare che sono inguaribilmente ottimista, ma ho la piacevole impressione che se gli allarmisti che si vantano di essere realisti continuano a sopravvivere, coloro che sono da questi etichettati come «campioni di totale ingenuità» cominciano ad essere ascoltati di più. Bisogna vedere se durerà, ma rimango comunque stupito dagli inviti sempre più frequenti che mi vengono rivolti a parlare, a scrivere, a spiegare, a testimoniare.

Era impressionante, quella sera, avvertire un’atmosfera serena; vedere persone che desideravano conoscere la fede dell’altro per poterlo meglio avvicinare sul posto di lavoro o nel vicinato. L’intervento è stato seguito da una lunga serie di domande e riflessioni. Credo di poter riassumere con queste parole: «Credevamo di saperne un po’, e invece ci rendiamo conto di avere molto da imparare. Ma questa serata genera in noi il desiderio dell’incontro».

L’inevitabile domanda sulla condizione della donna è stata posta in un clima di comprensione; per contro, il fatto che nell’intervento si fosse sottolineata l’insistenza dell’islam sull’unicità (di Dio – ndr) e quella del cristianesimo sull’Amore ha un po’ infastidito una donna musulmana. Questo ha portato a discutere del forum cattolico-musulmano tenutosi in Vaticano su «Amore di Dio, amore del prossimo». Così abbiamo preparato il secondo incontro, già previsto, sul sufismo.

Poi sono stato messo con le spalle al muro. «Ci dica – mi hanno chiesto – a che punto è nel suo cammino?». Dopo aver ribadito la mia antica convinzione che serva più l’incontro spirituale di tanto dialogo, ho svelato la chiamata a una presenza orante che mi impegna sempre più.

Di recente,  sicuro ormai che i miei amici musulmani non sono neppure sfiorati dall’idea che io nutra dubbi sulla mia religione, ho chiesto di poter andare alla moschea sia durante la preghiera ufficiale sia «in privato». Ero già solito andarci, il più delle volte con loro, ma hanno saputo accogliere il mio bisogno di comunione.

Per me si tratta della gioia di poter presentare al di fuori delle frontiere visibili della Chiesa, discretamente ma apertamente, la preghiera del popolo che Dio mi ha affidato. E senza il benché minimo sincretismo, di vivere la grazia di benedire fianco a fianco il nostro Unico Dio e Amore, che sa annullare le barriere tra due preghiere nel momento in cui salgono fino a Lui.

(traduzione di Roberto Orlandi)

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