Per il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman il conflitto israelo-palestinese ha ormai le tinte della guerra di religione e perciò sarà difficile arrivare alla pace in tempi brevi. Inutile illudersi che possano giovare le concessioni territoriali. In estrema sintesi è questo il pensiero che il responsabile della politica estera di Israele ha espresso il 15 febbraio scorso davanti alla Commissione Affari Esteri e Difesa della Knesset (il parlamento) e ribadito successivamente alla stampa.
(g.s.) – Secondo il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman il conflitto israelo-palestinese ha assunto le tinte della guerra di religione e perciò sarà difficile arrivare alla pace in tempi brevi. Inutile illudersi che possano giovare le concessioni territoriali.
In estrema sintesi è questo il pensiero che il responsabile della politica estera di Israele ha espresso il 15 febbraio scorso davanti alla Commissione Affari Esteri e Difesa della Knesset (il parlamento) e ribadito successivamente alla stampa.
Riprendendo i temi del suo intervento davanti ai deputati in un’intervista a Radio Reka, Lieberman ha professato pessimismo sulla possibilità di stabilire «un avamposto di stabilità nel mezzo di tsunami senza fine, tumulti e terremoti» come quelli che investono oggi tutto lo scacchiere mediorientale in senso amio. E qui il ministro cita Yemen, Iraq, Afghanistan, Pakistan e Somalia.
L’uomo di governo, che è anche il capo del partito Yisrael Beiteinu, torna a riproporre un tema caro al suo schieramento: uno scambio di territori ma anche di popolazione tra Israele e il futuro Stato palestinese.
Ma Lieberman non rinuncia al tema classico: l’assenza di un interlocutore credibile con cui trattare. Abu Mazen, dice, non è in grado di parlare a nome di tutto il suo popolo, perché Hamas non lo segue. Il primo ministro Salam Fayyad addirittura usa i fondi dell’Autorità Palestinese per mettere in cattiva luce Israele sul piano internazionale con molte iniziative: le campagne internazionali di boicottaggio dei prodotti provenienti dagli insediamenti israeliani in Cisgiordania e di ogni collaborazione con istituzioni culturali israeliane; i ricorsi e le denunce presentate davanti a organismi internazionali; le cause intentate contro politici e alti gradi delle forze armate e apparati di sicurezza israeliani. È una questione che brucia e, stando a Lieberman, finché questi atteggiamenti non muteranno Israele non tornerà al tavolo dei negoziati.