Il 5 febbraio 2006 don Andrea Santoro veniva ammazzato con due colpi di pistola a Trabzon (Trebisonda, in Turchia), mentre stava pregando nella chiesa di Santa Maria, da un fanatico musulmano al grido di «Allah è grande». A quattro anni di distanza è uscito in questo giorni un libro che spicca per spessore e profondità tra altre opere a lui dedicate. È il diario che il sacerdote romano scrisse durante sei mesi trascorsi in Terra Santa, nell'autunno-inverno 1980-81, un momento fondamentale nella parabola spirituale del futuro martire.
Il 5 febbraio 2006 don Andrea Santoro veniva ammazzato con due colpi di pistola a Trabzon (Trebisonda, in Turchia), mentre stava pregando nella chiesa di Santa Maria, da un fanatico musulmano al grido di «Allah è grande». A quattro anni di distanza è uscito in questo giorni un libro che – ne siamo convinti – spicca per spessore e profondità tra altre opere uscite sulla figura di don Andrea. Si tratta infatti del diario che il sacerdote romano scrisse durante sei mesi trascorsi in Terra Santa, nell’autunno-inverno 1980-81 (esattamente dal 4 settembre al 24 febbraio), un momento fondamentale nella parabola spirituale del futuro martire.
«Da ragazzo il Signore mi ha concesso il desiderio di portare gli uomini a lui e di mettermi al loro servizio – confidò alla partenza per la Turchia l’11 settembre 2000 -. Mi ha concesso di farlo in mille modi, servendosi della mia totale povertà e nonostante i miei ripetuti tradimenti. Dopo dieci anni di sacerdozio mi ha portato in Medio Oriente per un periodo di sei mesi, per un desiderio impellente che sentivo di silenzio, di preghiera, di contatto con la parola di Dio nei luoghi dove Gesù era passato. Lì ho ritrovato la freschezza della fede e la chiarezza del mio sacerdozio» (p. 11).
Diario di Terra Santa 1980-1981 ci offre la straordinaria possibilità d’immergerci con stupore e gratitudine nell’universo spirituale di un uomo che ha saputo riandare alle radici profonde della propria vocazione e nella Terra del Santo ha ritrovato lo slancio che lo ha spinto a farsi missionario fino al dono della vita.
Scrive padre Francesco Rossi de Gasperis, che lo ha incontrato e conosciuto a Gerusalemme, nella toccante Presentazione al volume: «Capii, in quel nostro incontro, che don Andrea era stanco di dottrina, di sistemi, di attività e programmi pastorali, tanto più intensi quanto meno sorretti e permeati dall’esperienza di una fede, che comprometta la carne del discepolo del Signore. Mi resi conto che la Parola, la storia e il Paese biblico stavano diventando la sua carne, analogamente a come il pane e il vino eucaristico diventano il corpo e il sangue di Gesù. Don Andrea si sentiva chiamato a consumarsi interamente nell’amore per il Regno di Dio, per il disegno della salvezza e la volontà del Padre, l’Abbà del Figlio e di noi tutti; per la persona di Gesù, il Messia d’Israele e delle nazioni; nell’amore per tutti gli uomini e tutte le donne dell’umanità, specialmente per gli ultimi, per gli «scarti». Per lui, nulla è stato troppo grande per essere abbracciato, ma tutto è stato capace di restringersi per farsi contenere dal più piccolo frammento, riconosciuto come volontà di Dio, adesso e qui» (pp. 6s.).
In ogni pagina di questo Diario (che offre una straordinaria materia per gli esercizi spirituali di ciascuno di noi), si respira questa tensione all’amore e al dono costante di sé. E il totale abbandono alla volontà di Dio, che si fa preghiera: «Ora, o Signore mi pongo davanti a te come un foglio bianco, disposto a tutto cancellare e a tutto riscrivere, daccapo, lentamente, con fatica. Mi pongo come creta nelle mani del vasaio: fa’ di me il vaso che vuoi, modellami. Se vuoi, rimpasta quel vaso che finora sono stato. Dammi altra forma, altro contenuto. Mi pongo come un bambino davanti a te, che sei mio Padre; come un povero che attende di essere ricoperto, sfamato, dissetato; come un cieco che attende di essere guidato e guarito» (p. 83).