Nel numero di gennaio-febbraio 2010 la rivista Terrasanta pubblica nella sezione Colloqui una lunga intervista a Moni Ovadia, attore e musicista noto ormai in tutta Europa. Intellettuale lucido e spesso fuori dal coro, pesca a piene mani dall'amaro umorismo della cultura ebraica per cercare d'interpretare la realtà che lo circonda. Pubblichiamo di seguito alcuni stralci dell'intervista concessa a Carlo Giorgi, in cui Ovadia dice la sua sulla Terra Santa. Una terra che appartiene solo a Dio, osserva, e in cui tutti dovrebbero sentirsi ospiti e non padroni.
Nel numero di gennaio-febbraio 2010 la rivista Terrasanta pubblica nella sezione Colloqui una lunga intervista a Moni Ovadia, attore e musicista noto ormai in tutta Europa. Nato in Bulgaria nel 1946, da una famiglia ebraico-sefardita, greco-turca da parte di padre e serba da parte di madre, ben presto Moni Ovadia si trasferisce a Milano con la famiglia, dove studia e muove i primi passi artistici, sviluppando una forma inedita di teatro-concerto.
Intellettuale lucido e spesso fuori dal coro, pesca a piene mani dall’amaro umorismo della cultura ebraica per cercare d’interpretare la realtà che lo circonda.
Pubblichiamo di seguito alcuni stralci dell’intervista concessa a Carlo Giorgi.
***
Cos’è per Moni Ovadia la Terra Santa?
Cominciamo con il dire che io preferisco a Terra Santa il termine «Terra di santità» o «Terra del Santo». È una terra la cui destinazione è di costruire santità. Il Santo Benedetto dice infatti nella Bibbia: «Sarete santi perché io sono santo». Costruire santità significa allora perseguire l’imitatio Dei, evitando di cadere nella luciferina tentazione della substitutio Dei; infatti esiste sempre la tentazione di dire: so io quello che dice Dio! Invece la verità appartiene solo a Dio, se Dio esiste. La terra dunque non è di per sé santa. Il problema semmai è come perseguire la santità. Secondo me è ben espresso nel Levitico, quando viene annunciato il Giubileo ebraico.
Qui, il Santo Benedetto dice una delle frasi che io preferisco: egli dice infatti che la terra è sua e non è degli uomini.
E questo cosa comporta?
È come dire che chi vuole vivere in Terra Santa deve sapere che è ospite, e comportarsi da ospite, non da padrone. Qualcuno invero sostiene che la Terra sia stata donata; ma se fosse stata donata, perché il Santo Benedetto dovrebbe ripetere continuamente, la terra è mia? Io non credo che sia donata nel senso che tu ne sei proprietario, perché nel Levitico è detto: la terra non verrà venduta in perpetuità. In effetti il Giubileo ebraico prevedeva che tutti gli incrementi di terra ottenuti attraverso le dinamiche del mercato, venissero azzerati ogni 50 anni. La terra veniva riassegnata, era una sorta di «rivoluzione permanente», come diceva un noto rabbino anarchico. Incrementare la terra può produrre ricchezza; ma bisogna sapere che dopo 50 anni tutto ritorna secondo l’equilibrio originario. Ad un certo punto nell’annuncio del Giubileo è detto: «Tu abiterai in questa terra come Gher Toshav», che può essere tradotto come «residente soggiornante»; ma la parola gher è anche la parola che la lingua santa usa per «straniero». Quindi tu, ebreo, devi vivere in quella terra come «straniero soggiornante». Allora, forzando un po’ il testo, la dignità di risiedere te la dà il fatto di essere straniero. Quindi dovresti vivere da straniero in quella terra. Il comandamento più ripetuto nella Torah è: ama lo straniero come te stesso, ricordati che fosti straniero in terra d’Egitto. Alla fine dell’annuncio poi si dice: voi davanti a me, dice il Santo Benedetto, siete tutti stranieri soggiornanti. Allora si potrebbe concludere che la terra è santa se tu ci vivi da straniero tra gli stranieri.
Quali segni di speranza si possono vedere oggi in Terra Santa?
Israele è un Paese democratico, anche se a volte si comporta nei confronti dei palestinesi non democraticamente. Però per osmosi i palestinesi imparano molte cose. Infatti diventano sempre più scomodi per il mondo arabo. E io credo che l’evoluzione non possa che andare in questo senso. Israele ha due alternative se non vuole finire in un vero e proprio apartheid: o riconosce la soluzione due popoli e due Stati, secondo gli accordi di Ginevra, con il confine posto sulla Linea verde, con Gerusalemme capitale dei due Stati, e un’equa compensazione dei profughi; oppure, come ha affermato lo stesso Ehud Olmert, ex primo ministro israeliano, sarà la fine per Israele. Purtroppo nella società civile israeliana c’è una patologia: quella di credere che i servizi segreti possano risolvere ogni problema. Qualcuno giustamente, ha detto invece: è meglio che ci diamo una regolata: viviamo in un mare di arabi e in un oceano di musulmani… Se si vuole ricreare il ghetto, sarà un ghetto armato e blindato ma davvero un triste posto. Noi aspettiamo che diventi invece una terra di santità. Ma sarà possibile solo attraverso la pace e la giustizia, perché pace e giustizia sono sinonimi.