Non capita spesso di leggere sulla stampa della sponda sud del Mediterraneo – e per questo fa piacere – articoli di giornalisti musulmani che difendono la libertà religiosa dei propri cittadini cristiani. Ci sono stati almeno tre casi recentemente. Il primo è l’articolo uscito il 3 dicembre scorso sul quotidiano kuwaitiano al-Qabas. Vale la pena di tradurre alcuni stralci di quanto scrive la giornalista Dalaa al-Mufti. «Un putiferio si è scatenato quando la maggioranza di svizzeri ha approvato in un referendum di vietare la costruzione di minareti nelle moschee presenti nel Paese. E, come al solito, i nostri deputati hanno dato il proprio contributo alle reazioni rabbiose. […] Non capisco perché mai noi abbiamo il diritto di vietare e di bandire, mentre gli altri no. […] La domanda che si pone qui – aggiunge Mufti – è… vi dimenticate? Vi dimenticate che suonare la campane delle chiese è vietato in Kuwait? Vi dimenticate le campagne denigratorie contro i cristiani che si lanciano, ogni dicembre, sui giornali? Vi dimenticate le leggi che vietano di costruire chiese in alcuni Paesi arabi e di costruirne poche in altri Paesi? Vi dimenticate le invocazioni che si fanno al venerdì nelle nostre moschee e in cui chiediamo ad Allah di disperderli e annientarli? Vi dimenticate le fatwa che proibiscono di fare gli auguri ai cristiani in occasione delle loro feste? Vi dimenticate la legge che vieta di concedere la cittadinanza ai non musulmani, cui ci gloriamo d’essere il primo Stato ad averla emanata? La decisione degli svizzeri è razzista ed estremista, ma forse che il razzismo è lecito a noi e vietato a loro?».
Ci sono poi gli articoli usciti sul quotidiano turco Hürriyet in relazione alle proteste ufficiali contro le affermazioni fatte dal patriarca ecumenico di Costantinopoli in un’intervista tramessa dalla Cbs americana lo scorso 20 dicembre. In sostanza, Bartolomeo I lamenta il fatto che i greco-ortodossi «vengono trattati come cittadini di seconda categoria». Il giornalista Mehmet Ali Birand scrive che la Turchia «ha campato con le teorie della cospirazione per molti anni. Il patriarcato è stato considerato un’istituzione che intrufola piani di spartizione della Turchia affinché la Grecia possa invadere nuovamente il Paese (!). La gente pensa che, una volta accettata la presenza del Patriarca ecumenico, i cristiani creerebbero in Turchia un Vaticano. Questa assurda teoria è stata sostenuta dallo Stato, dai militari e da alcuni nazionalisti». Birand critica la mancata riapertura del seminario ortodosso, chiuso da 40 anni, con vari pretesti. «Nonostante il Trattato di Losanna e nonostante vi sia un diritto della minoranza, abbiamo ignorato la nostra firma. Avremmo potuto riaprirlo come scuola religiosa collegata al ministero della Pubblica Istruzione. Non l’abbiamo fatto». Il seminario è così diventato, afferma Birand, «un ostaggio» per forzare la Grecia ad accettare l’elezione del mufti nella Tracia occidentale. Questo ricatto Birand lo definisce «la nostra vergogna, una grande ingiustizia, un dispotismo». «Se non capiamo le altre religioni – conclude Birand – come possiamo aspettarci che l’Europa capisca l’islam?».
Un ultimo caso è la vignetta apparsa il 28 dicembre sul quotidiano algerino Liberté (www.liberte-algerie.com). Il vignettista Alì Dilem, bersaglio di numerose fatwa di morte e condanne giudiziarie per «diffamazione» delle istituzioni, vi presenta una croce vuota nel buio di una città algerina. I chiodi piantati sul legno e le orme di sangue sulla sabbia fanno supporre che l’uomo crocifisso abbia preferito staccarsi in fretta per fuggire. Il titolo-denuncia illustra il motivo: «Cristiani in Algeria, una Messa vietata in Cabilia».