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Come i profeti, aperti a Dio

22/01/2010  |  Milano
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Come i profeti, aperti a Dio

Il libro Il Misericordioso, dell'imam italiano Yahya Sergio Yahe Pallavicini, è forse qualcosa di più di un semplice invito, ottimamente documentato, a considerare le reali possibilità di convivenza dei tre monoteismi nella società del pluralismo religioso alla luce della migliore dottrina islamica. La peculiarità del lavoro di Pallavicini consiste nell'evidenziare le doti spirituali dei profeti, veri esempi di come si debba stare davanti a Dio estirpando in se stessi e dal mondo le radici del politeismo e dell'idolatria, che ultimamente si riducono nel porre l'uomo al centro dell'universo.


«Se Dio avesse voluto avrebbe fatto di voi una sola comunità, ma vi mette alla prova in ciò che vi ha dato. Gareggiate dunque nelle buone opere. A Dio voi tutti farete ritorno ed Egli vi informerà sulle cose in cui eravate in discordia» (Corano V,48). Diffuso dall’editrice cattolica Messaggero, e concepito per diffondere una corretta conoscenza dell’islam, Il Misericordioso, di Yahya Sergio Yahe Pallavicini, imam della moschea al-Wahid di Milano e vice presidente della Comunità religiosa islamica italiana (Coreis) è forse qualcosa di più di un semplice invito, ottimamente documentato, a considerare le reali possibilità di convivenza dei tre monoteismi nella società del pluralismo religioso alla luce della migliore dottrina islamica.

Il Misericordioso è Dio, ma il termine stesso di misericordia racchiude nell’islam una ricchezza di significati che spazia dalla provvidenza verso le creature alla possibilità stessa di conoscere il divino attraverso le rivelazioni dei profeti e in forza di un atteggiamento religioso personale autenticamente purificato. E la peculiarità del lavoro di Pallavicini in rapporto al tesoro delle profezie consiste nell’evidenziare le doti spirituali dei profeti, veri esempi di come si debba stare davanti a Dio estirpando in se stessi e dal mondo le radici del politeismo e dell’idolatria, che ultimamente si riducono nel porre l’uomo (o ciò che vuole, o ciò che capisce) al centro dell’universo, al posto del suo Creatore.

C’è dunque un filo rosso che lega le vicende di Adamo, Noè, Abramo, Giuseppe, Mosè, Maria, suo figlio Gesù e Maometto: la loro obbedienza esemplare verso Dio e la loro conseguente disponibilità verso il suo progetto buono li rende capaci di accogliere la verità, il che, tutto sommato, è l’unica cosa che conta e che costituisce autentica differenza tra un uomo e l’altro, a prescindere dalla confessione religiosa in cui Dio ha disposto si trovino gli individui di tutte le epoche.

Ecco perché, per citare esempi riportati da Pallavicini, si narra che nel VII secolo la corte del Negus, piena di vescovi cristiani, abbia protetto e accolto la prima comunità islamica di Medina, esigua e perseguitata, dopo aver ascoltato con profonda commozione dalle labbra dei fuggiaschi il racconto della natività di Gesù di Nazaret, o perché viceversa Abramo abbia dovuto difendere il monoteismo in primo luogo contro il padre fabbricante di idoli o Noè abbia dovuto accettare la morte del figlio illusosi di salvarsi da solo, al di fuori dell’arca dei veri credenti, durante il grande diluvio.

La «parentela» più profonda e prolifica è spirituale più che carnale (o razziale, o politica); è un fatto di adorazione e di ragione, e non disdegna né il dialogo, né il confronto. Un po’ come è accaduto nel 2007, in occasione della stesura della lettera Una parola comune tra voi e noi, firmata da 138 autorità islamiche (tra cui lo stesso imam Pallavicini), nel tentativo di tracciare le linee guida, da parte musulmana, del futuro dialogo interreligioso, partendo da ciò che unisce quelli che credono che Cristo sia il Figlio di Dio e quelli che credono che Maometto sia il Sigillo della Profezia. Così, nel presentare il libro di Pallavicini, la Coreis italiana ha diffuso un comunicato invitando alla lettura anche i teologi e i biblisti cristiani, interlocutori sentiti come privilegiati, rievocando ancora una volta l’attualità delle parole con cui Allah «consolò» Maometto per l’esistenza di più confessioni all’interno dell’unica fede nell’unico Dio, che «mette alla prova» su ciò che dà.

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