È durata due ore abbondanti, nel pomeriggio del 17 gennaio, la visita di Benedetto XVI alla comunità ebraica di Roma presso la grande sinagoga su Lungotevere de' Cenci. Poco prima delle 16.30 il Papa è stato accolto al Portico di Ottavia da Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica di Roma e da Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane (Ucei). Dopo un breve percorso a piedi, all'ingresso della sinagoga lo attendeva il rabbino capo Riccardo di Segni. Nella sinagoga, gremitissima, erano presenti anche rappresentanti dei musulmani e varie autorità civili, attenti testimoni di una nuova tappa del dialogo tra ebrei e cattolici.
(g.s.) – È durata due ore abbondanti, nel pomeriggio di domenica 17 gennaio, la visita di Benedetto XVI alla comunità ebraica di Roma presso la grande sinagoga su Lungotevere de’ Cenci.
Poco prima delle 16.30 il Papa è stato accolto al Portico di Ottavia da Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica di Roma e da Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane (Ucei). Nel breve percorso a piedi verso la cancellata della sinagoga ove era ad attenderlo il rabbino capo Riccardo di Segni, il Pontefice ha sostato brevemente davanti due lapidi: davanti alla prima, che ricorda la deportazione degli ebrei dal ghetto da parte dei nazisti il 16 ottobre 1943, è stata deposta una corona floreale in omaggio alle vittime della Shoah. Davanti alla seconda lapide Ratzinger ha fatto memoria dell’attentato del 9 ottobre 1982 – perpetrato dal terrorismo palestinese, come ha voluto ricordare Pacifici – in cui perse la vita Stefano Gay Tachè, un bambino ebreo di due anni e rimasero ferite decine di persone che uscivano dal Tempio maggiore dopo la preghiera. Il Papa ha anche ricevuto i saluti del rabbino capo emerito Elio Toaff (94 anni), sceso in strada, nonostante la salute malferma, per dargli il benvenuto.
Nella sinagoga, gremitissima, erano presenti anche rappresentanti dei musulmani e varie autorità civili. Tra le altre, il presidente della Camera Gianfranco Fini, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta, il presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti e il sindaco della capitale Gianni Alemanno.
La parte pubblica della visita alla sinagoga è stata aperta dal saluto ufficiale di Riccardo Pacifici, a cui hanno fatto seguito gli intervrenti di Renzo Gattegna e del rabbino capo, Riccardo Di Segni, accanto al quale sedeva silenzioso il rabbino capo di Haifa e co-presidente della Commissione mista Santa Sede-Gran Rabbinato d’Israele per il dialogo fra ebrei e cattolici, Shear Yashuv Cohen.
Al termine dell’intervento del rabbino Di Segni il coro, accompagnato dall’organo, ha intonato il canto di un salmo. Poi ha preso la parola il Papa. Al termine del suo discorso la cerimonia si è conclusa con lo scambio dei doni e il canto dell’inno Anì Maamin.
Ratzinger e Di Segni si sono ritirati per alcuni minuti di conversazione privata, poi con il loro seguito di personalità hanno visitato il museo ebraico nei locali sottostanti la moschea, passando per il giardino nel quale è stato piantato un ulivo dono del Papa a commemorare la visita. Nel museo, prima di far ritorno in Vaticano intorno alle 18.30 il Papa ha visitato la mostra Et ecce gaudium in cui erano esposti 14 disegni preparati nel Settecento dalla Comunità ebraica per l’incoronazione dei Sommi Pontefici.
I discorsi
Riccardo Pacifici ha aperto il suo intervento invitando l’assemblea a un minuto di silenzio per le vittime del recente terremoto ad Haiti e menzionando il contributo ai soccorsi offerto dagli israeliani. Poi un grazie alla Comunità di Sant’Egidio per la sua collaborazione nell’organizzare la visita papale. Pacifici ha espresso solidarietà al Papa «per gli inauditi atti di violenza di cui sempre più spesso le comunità cristiane sono oggetto in alcuni Paesi dell’Asia e dell’Africa». «Abbiamo la sensazione – ha osservato – che il mondo occidentale non esprima sufficientemente il proprio sdegno. L’azione sui governi dei Paesi in cui è vietato costruire una chiesa o una sinagoga dovrebbe essere più energica». Poi ha menzionato il ruolo che insieme, ebrei e cattolici, possono giocare oggi nella società italiana, ad esempio contrastando la xenofobia e l’avversione e la paura verso gli immigrati.
«Siamo tutti preoccupati per il fondamentalismo islamico – ha aggiunto il presidente della comunità ebraica romana -. Uomini e donne animati dall’odio e guidati e finanziati da organizzazioni terroristiche cercano il nostro annientamento non solo culturale ma anche fisico. Questo fanatismo religioso è sostenuto anche da Stati sovrani. Tra questi Stati ci sono coloro che sviluppano la tecnologia nucleare a scopi militari programmando la distruzione dello Stato d’Israele e il conseguente sterminio degli ebrei, con l’intento ultimo di ricattare il mondo libero. Per questo, dobbiamo solidarizzare con le forze che nell’Islam interpretano il Corano come fonte di solidarietà e fraternità umana, nel rispetto della sacralità della vita. In questa Sinagoga, sono presenti oggi alcuni di questi leader musulmani e con calore e affetto sento di dar loro il benvenuto».
Ricordando l’esperienza dei suoi congiunti, Pacifici ha ringraziato quei religiosi cattolici che durante il nazismo e il fascismo salvarono gli ebrei dalle persecuzioni «senza chiedere nulla in cambio». Proprio il loro coraggio, ha osservato il presidente della comunità ebraica romana, rende più difficile da accettare, per gli ebrei, il silenzio di Pio XII davanti alle deportazioni e alla Shoah: un suo intervento pubblico, ha chiosato Pacifici, «forse non avrebbe fermato i treni della morte, ma avrebbe trasmesso, un segnale, una parola di estremo conforto, di solidarietà umana, per quei nostri fratelli trasportati verso i camini di Auschwitz».
Nel suo intervento Gattegna, come anche Pacifici, ha invitato l’assemblea a rendere omaggio ai pochi sopravvissuti all’Olocausto ancora presenti in sala e alla fortuna della sua generazione nel «vedere realizzata la millenaria aspirazione alla ricostruzione dello Stato d’Israele». Poi, riferendosi ai rapporti tra ebrei e Chiesa cattolica e alla visita di Giovanni Paolo II alla sinagoga nel 1986, ha aggiunto: «La nuova stagione è solo agli inizi e c’è un lungo cammino da percorrere, ma tutto sarà più facile se sapremo riempire di contenuto e dare il giusto significato a quel termine stupendo "fratelli" con il quale i nostri predecessori si salutarono ventiquattro anni fa, impegnandosi a costruire un prezioso rapporto di amicizia».
Il rabbino capo Di Segni ha esordito ricordando l’epoca in cui gli ebrei romani, come sudditi «appena tollerati», erano chiamati a rendere omaggio al nuovo Pontefice durante una solenne processione papale per le vie di Roma, preparando addobbi e pannelli beneauguranti. «Prima dei pannelli del diciottesimo secolo – ha detto Di Segni – c’era ancora peggio, l’esposizione del libro della Torah al Papa che si riservava anche di dileggiarlo. I tempi evidentemente sono cambiati e ringraziamo il Signore Benedetto che ci ha portato ad un’epoca di libertà; e dopo la libertà conquistata nel 1870, possiamo, dai tempi del Concilio Vaticano, rapportarci con la Chiesa Cattolica e il suo Papa in termini di pari dignità e rispetto reciproco. Sono le aperture del Concilio che rendono possibile questo rapporto; se venissero messe in discussione non ci sarebbe più possibilità di dialogo».
«Se il nostro è un rapporto tra fratelli – ha proseguito Di Segni – c’è da chiedersi sinceramente a che punto siamo di questo percorso e quanto ci separa ancora dal recupero di un rapporto autentico di fratellanza e comprensione; e cosa dobbiamo fare per arrivarci. Cosa dobbiamo e possiamo fare insieme. Un esempio. Si parla molto in questi tempi dell’urgenza di proteggere l’ambiente. Su questo punto abbiamo delle visioni comuni e speciali da trasmettere. Il dovere di proteggere l’ambiente nasce con il primo uomo; Adamo fu posto nel giardino dell’Eden con l’obbligo di "lavorarlo e custodirlo" (Gen. 2:15). Bisogna ricordare che nella Bibbia ebraica non compare mai la parola natura, come cosa indipendente, ma solo il concetto di creato e creatura. Siamo tutte creature, dalle pietre agli esseri umani. Il cantico delle creature di Francesco d’Assisi è radicato nella spiritualità biblica, soprattutto dei Salmi. Possiamo per questo condividere un progetto di ecologia non idolatrica, senza dimenticare che alla cima della creazione c’è l’uomo fatto a immagine divina. La responsabilità va alla protezione di tutto il creato, ma la santità della vita, la dignità dell’uomo, la sua libertà, la sua esigenza di giustizia e di etica sono i beni primari da tutelare. Sono gli imperativi biblici che condividiamo, insieme a quello della misericordia; vivere la propria religione con onestà e umiltà, come potente strumento di crescita e promozione umana, senza aggressività, senza strumentalizzazione politica, senza farne strumento di odio, di esclusione e di morte».
Mentre tutti gli interventi di parte ebraica hanno citato lo Stato di Israele, Benedetto XVI, nel suo discorso, ha menzionato la Terra Santa in generale e ciò è spiaciuto a qualcuno in sinagoga.
Il Papa ha esordito lodando e ringraziando il Signore «per averci fatto il dono di ritrovarci assieme a rendere più saldi i legami che ci uniscono e continuare a percorrere la strada della riconciliazione e della fraternità».
«Questa mia visita – ha detto Benedetto XVI – si inserisce nel cammino tracciato, per confermarlo e rafforzarlo. Con sentimenti di viva cordialità mi trovo in mezzo a voi per manifestarvi la stima e l’affetto che il vescovo e la Chiesa di Roma, come pure l’intera Chiesa cattolica, nutrono verso questa comunità e le comunità ebraiche sparse nel mondo».
Anche il Papa ha menzionato il Concilio e la dichiarazione Nostra Aetate: «La dottrina del Concilio Vaticano II ha rappresentato per i cattolici un punto fermo a cui riferirsi costantemente nell’atteggiamento e nei rapporti con il popolo ebraico, segnando una nuova e significativa tappa. L’evento conciliare ha dato un decisivo impulso all’impegno di percorrere un cammino irrevocabile di dialogo, di fraternità e di amicizia, cammino che si è approfondito e sviluppato in questi quarant’anni con passi e gesti importanti e significativi».
«La Chiesa – ha proseguito Ratzinger leggendo il testo scritto senza aggiungere una sola parola a braccio – non ha mancato di deplorare le mancanze di suoi figli e sue figlie, chiedendo perdono per tutto ciò che ha potuto favorire in qualche modo le piaghe dell’antisemitismo e dell’antigiudaismo. Possano queste piaghe essere sanate per sempre! Torna alla mente l’accorata preghiera al Muro del Tempio in Gerusalemme del Papa Giovanni Paolo II, il 26 marzo 2000, che risuona vera e sincera nel profondo del nostro cuore: "Dio dei nostri padri, tu hai scelto Abramo e la sua discendenza perché il tuo Nome sia portato ai popoli: noi siamo profondamente addolorati per il comportamento di quanti, nel corso della storia, li hanno fatti soffrire, essi che sono tuoi figli, e domandandotene perdono, vogliamo impegnarci a vivere una fraternità autentica con il popolo dell’Alleanza"».
Poi uno sguardo al secolo scorso: «Il passare del tempo – ha riflettuto il Pontefice – ci permette di riconoscere nel ventesimo secolo un’epoca davvero tragica per l’umanità: guerre sanguinose che hanno seminato distruzione, morte e dolore come mai era avvenuto prima; ideologie terribili che hanno avuto alla loro radice l’idolatria dell’uomo, della razza, dello stato e che hanno portato ancora una volta il fratello ad uccidere il fratello. Il dramma singolare e sconvolgente della Shoah rappresenta, in qualche modo, il vertice di un cammino di odio che nasce quando l’uomo dimentica il suo Creatore e mette se stesso al centro dell’universo.(…) Lo sterminio del popolo dell’Alleanza di Mosè, prima annunciato, poi sistematicamente programmato e realizzato nell’Europa sotto il dominio nazista, raggiunse in quel giorno tragicamente anche Roma. Purtroppo, molti rimasero indifferenti, ma molti, anche fra i cattolici italiani, sostenuti dalla fede e dall’insegnamento cristiano, reagirono con coraggio, aprendo le braccia per soccorrere gli ebrei braccati e fuggiaschi, a rischio spesso della propria vita, e meritando una gratitudine perenne. Anche la Sede Apostolica svolse un’azione di soccorso, spesso nascosta e discreta. La memoria di questi avvenimenti deve spingerci a rafforzare i legami che ci uniscono perché crescano sempre di più la comprensione, il rispetto e l’accoglienza».
Nella seconda parte del suo discorso Ratzinger ha riflettutto sui dieci comandamenti rivelati da Dio e comuni a ebrei e cristiani. Il decalogo, dice il Papa, è «la fiaccola dell’etica, della speranza e del dialogo, stella polare della fede e della morale del popolo di Dio, e illumina e guida anche il cammino dei cristiani. Esso costituisce un faro e una norma di vita nella giustizia e nell’amore, un "grande codice" etico per tutta l’umanità. Le "Dieci Parole" gettano luce sul bene e il male, sul vero e il falso, sul giusto e l’ingiusto, anche secondo i criteri della coscienza retta di ogni persona umana».
Sul piano etico, Ratzinger trae alcune conseguenze: in primo luogo «le "Dieci Parole" chiedono di riconoscere l’unico Signore, contro la tentazione di costruirsi altri idoli, di farsi vitelli d’oro. (…) Risvegliare nella nostra società l’apertura alla dimensione trascendente, testimoniare l’unico Dio è un servizio prezioso che Ebrei e Cristiani possono offrire assieme». Poi «le "Dieci Parole" chiedono il rispetto, la protezione della vita, contro ogni ingiustizia e sopruso, riconoscendo il valore di ogni persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio. (…) Testimoniare insieme il valore supremo della vita contro ogni egoismo, è offrire un importante apporto per un mondo in cui regni la giustizia e la pace, lo "shalom" auspicato dai legislatori, dai profeti e dai sapienti di Israele». Infine, «le "Dieci Parole" chiedono di conservare e promuovere la santità della famiglia, in cui il "sì" personale e reciproco, fedele e definitivo dell’uomo e della donna, dischiude lo spazio per il futuro, per l’autentica umanità di ciascuno, e si apre, al tempo stesso, al dono di una nuova vita. Testimoniare che la famiglia continua ad essere la cellula essenziale della società e il contesto di base in cui si imparano e si esercitano le virtù umane è un prezioso servizio da offrire per la costruzione di un mondo dal volto più umano».
Prima di concludere invocando «dal Signore il dono prezioso della pace in tutto il mondo, soprattutto in Terra Santa» il Papa ha ricordato che «come insegna Mosè nello Shemà (cfr. Dt 6,5; Lv 19,34) – e Gesù riafferma nel Vangelo (cfr. Mc 12,19-31), tutti i comandamenti si riassumono nell’amore di Dio e nella misericordia verso il prossimo. Tale regola impegna ebrei e cristiani ad esercitare, nel nostro tempo, una generosità speciale verso i poveri, le donne, i bambini, gli stranieri, i malati, i deboli, i bisognosi».