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A margine della visita del Papa alla sinagoga di Roma

17/01/2010  |  Gerusalemme
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Da Gerusalemme riceviamo alcune riflessioni personali del francescano fra Massimo Pazzini, docente allo Studium Biblicum Franciscanum, che prendono spunto dalla visita di Benedetto XVI alla sinagoga di Roma. Pazzini auspica che un simile gesto di attenzione alla minoranza ebraica romana sia ricambiato a Gerusalemme con una visita dei due Gran Rabbini di Israele alla minoranza cristiana della città santa. 


Tra i capricci dei rabbini che vorrebbero dettare al Papa il discorso da tenere durante la sua visita alla sinagoga di Roma, oppure che rifiutano di partecipare all’avvenimento in segno di protesta per certe sue opinioni e punti di vista su argomenti di natura ecclesiastica, mi piace ricordare che, tutto sommato, la visita di Papa Benedetto alla sinagoga di Roma è una visita di cortesia, una visita non dovuta, ma solo un omaggio alla comunità ebraica romana. E soprattutto non si tratta di una resa dei conti.

La visita di una persona che rappresenta una grande comunità (come un capo di Stato, o il capo di una grande organizzazione) dovrebbe essere, a mio avviso, un momento di festa, un momento di gioiosa condivisione e di progettazione per un futuro migliore. Non riesco a immaginare un contesto costruttivo diverso, pur guardando le cose dalla lontana e rustica Gerusalemme.

Come cristiano di Gerusalemme mi sarei aspettato, di tanto in tanto, la visita dei due rabbini capi di Israele alle comunità cristiane della città santa, in particolare a coloro che più hanno dovuto soffrire in questi ultimi anni a causa delle ripetute prevaricazioni che hanno subito da certa marmaglia ebraica; una minoranza, certo, ma pur sempre cittadini di Israele e di sicura fede ebraica.

Ormai non ci speravo più, ma un recentissimo pronunciamento del Beth Din Tzedek (il Tribunale supremo della comunità ebraica ortodossa) ha finalmente condannato esplicitamente la pratica «ricorrente» degli sputi sui cristiani definendoli «vergognosi incidenti». Non mi soddisfa per nulla la motivazione della condanna che sembra essere quella di evitare provocazioni onde prevenire «conseguenze tragiche». Personalmente avrei preferito una condanna più sostanziale che dicesse esplicitamente: «Non si sputa sui cristiani in quanto sono esseri umani e persone come noi»; ma l’ebraismo ultraortodosso (da cui provengono i provocatori) non è ancora pronto ad esprimersi in questi termini. Il testo della sentenza, datato 30 dicembre 2009, recita fra l’altro: «Il provocare i gentili… è proibito ed è passibile di tragiche conseguenze sulla nostra propria comunità, che Dio ne abbia misericordia». E ancora: «Invitiamo ad agire quanto prima per rimuovere questi rischi cosicché la nostra comunità possa vivere in pace».

Come sarebbe bello se anche noi, come la comunità ebraica, potessimo vivere in pace senza essere provocati! E come sarebbe stato bello se questi giudici di Israele avessero auspicato la pace anche per noi! Come sarebbe bello se i rabbini facessero qualche cosa di concreto per riparare le prevaricazioni del passato, anche recente!

Personalmente, con la stessa «faccia mediorientale» tipica degli abitanti di questa terra, ho anche io qualche cosa da suggerire ai rabbini capi di Israele: a) quando un ebreo sputa su un cristiano venite a visitarci nella città vecchia di Gerusalemme e fateci sentire la vostra vicinanza. Vi accoglieremmo a braccia aperte! b) Fate qualche cosa di concreto per riparare il male fatto! Io una proposta ce l’avrei: dato che in questi ultimi tempi un paio di zelanti ebrei ha sputato in faccia al decano e al segretario del nostro Istituto accademico, potreste istituire un paio di borse di studio per studenti bisognosi della nostra facoltà accademica… Non potremmo che esservene grati e, ovviamente, capiremmo che avete intenzione di agire secondo giustizia e in forma concreta per sradicare certi comportamenti inaccettabili.

Oggi, più che mai, il dialogo deve essere concreto, senza tabù e senza paura di affrontare in debita sede i punti spinosi. Ma soprattutto deve guardare al futuro più che al passato. Questo insistere sugli errori del passato (degli altri ovviamente!), tipico dell’ebraismo, deve essere superato in fretta anche perché le nuove generazioni, che non hanno vissuto e non conoscono certe fasi storiche difficili, hanno il sacrosanto diritto di non essere indottrinate e di scegliere liberamente l’oggetto dei propri pensieri e i propri punti di vista. Bisogna inoltre sforzarsi in ogni modo di uscire dalla fase di dialogo-monologo, nella quale si procede a testa bassa rivendicando solo i propri diritti e senza vedere oltre la punta del proprio naso. Questo modo di procedere, oltre a non essere un atteggiamento prudente di vero dialogo, rischia di produrre l’effetto contrario.

Massimo Pazzini
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