Il quotidiano di Amman The Jordan Times riferisce che il ministero degli Esteri giordano ha convocato l'ambasciatore di Israele, Nevo Dani, per consegnargli una nota di protesta ufficiale. La nota esprime condanna e preoccupazione per i lavori intrapresi dagli israeliani sul muro occidentale esterno della basilica del Santo Sepolcro, a Gerusalemme, in violazione del regime dello Status quo che regola tutto ciò che riguarda quell'edificio sacro cristiano. Anche la Custodia di Terra Santa prende le distanze, con fermezza, dall'intervento dei tecnici israeliani.
(g.s.) – Nell’edizione di ieri, 4 dicembre, il quotidiano di Amman The Jordan Times riferisce che il ministero degli Esteri giordano ha convocato l’ambasciatore di Israele, Nevo Dani, per consegnargli una nota di protesta ufficiale.
La nota esprime condanna e preoccupazione per i lavori intrapresi dagli israeliani sul muro occidentale esterno della basilica del Santo Sepolcro, a Gerusalemme, in violazione del regime dello Status quo che regola tutto ciò che riguarda quell’edificio sacro cristiano.
Nei giorni precedenti alcuni tecnici dell’Autorità israeliana delle antichità erano intervenuti su un’antica porta murata che si affaccia su Christian Quarter Road, provocando subito allarme e accuse ai francescani della Custodia di Terra Santa, sospettati di aver richiesto l’intervento.
Per rigettare questi addebiti la Custodia ha emesso un comunicato ufficiale nel pomeriggio del 3 dicembre. Ne riportiamo integralmente il testo, in corsivo, in una traduzione della nostra redazione dall’inglese:
La Custodia di Terra Santa si sente in dovere di diffondere il seguente comunicato:
«I lavori attualmente condotti dall’Autorità israeliana per le antichità (Israel Antiquities Authority, Iaa) sull’antica porta murata denominata Porta di Maria, che si trova in Christian Quarter Road nella città vecchia di Gerusalemme, sono esclusivamente e totalmente iniziativa della medesima Autorità israeliana per le antichità».
«La Custodia di Terra Santa non ha mai chiesto alla Iaa di realizzare questi lavori né ha concesso il suo permesso. I rappresentanti della Custodia hanno invece informato i funzionari della Iaa circa la delicata natura di questa porta. Va dichiarato che la Custodia non ha richiesto che fosse effettuato alcun cambiamento alla porta, e (ha auspicato) che le sbarre metalliche poste a protezione della porta fossero mantenute immutate, esattamente perché dietro questa porta murata c’è il convento francescano del Santo Sepolcro».
«La Custodia dichiara, perché sia messo agli atti, che questa antica porta deve essere lasciata come si trovava».
«La presente dichiarazione viene rilasciata per contrastare le accuse totalmente false che i lavori abbiano in qualche modo avuto origine dalla Custodia di Terra Santa».
Abbiamo chiesto a padre Eugenio Alliata, archeologo e docente allo Studium Biblicum Franciscanum, di dirci in poche parole cosa sia accaduto. Spiega il religioso: «La porta di Maria, murata da tempo, risale all’epoca crociata ed è un manufatto molto importante perché introduce alla cappella dell’Apparizione, all’interno del Santo Sepolcro, attraverso una scala oggi impraticabile. Onestamente sono rimasto stupito dell’intervento israeliano dei giorni scorsi, che non reputavo urgente. I lavori, da quanto ho capito, si sono limitati a una sistemazione delle fughe delle pietre e alla rimozione di una grata. La Custodia non ha chiesto a nessuno, tantomeno all’Iaa, di intervenire sul manufatto, né sta eseguendo alcun lavoro in proprio. Essendo parte integrante della struttura del Santo Sepolcro, la Porta di Maria è sottoposta al regime dello Status quo e nessun lavoro può esservi compiuto senza l’accordo delle altre Chiese cristiane presenti nel santuario. Questo, credo, sia il senso della dichiarazione: la Custodia non ha violato in alcun modo lo Status quo».
Va ricordato che nelle settimane scorse il governo giordano aveva già espresso anche al Papa (ne abbiamo riferito in una notizia del 28 ottobre) le sue preoccupazioni per le «misure unilaterali» israeliane a Gerusalemme Est, area su cui la Giordania esercitava il controllo fino alla Guerra dei sei giorni del 1967 e che Amman – come anche la comunità internazionale – considera sotto occupazione, ma non legittimamente parte del territorio israeliano.