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Natale a Baghdad, sognando sicurezza e comprensione

23/12/2009  |  Milano
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Natale a Baghdad, sognando sicurezza e comprensione
Mons. Jean Benjamin Sleiman, vescovo latino di Baghdad.

In Iraq i cristiani si preparano a festeggiare il Natale «tentando di vivere normalmente in una situazione anormale» e cercando «la comprensione» dei musulmani, per poter «ricostruire» quanto è stato distrutto. Così l'arcivescovo latino di Baghdad, mons. Jean Benjamin Sleiman, racconta in un'intervista a Terrasanta.net con quale «speranza» i cristiani guardano al Sinodo dell'ottobre 2010. L'Oriente cristiano, denuncia il vescovo, «sta sparendo». Perciò la vera questione è «come arginare l'emigrazione e ridare vita alle comunità cristiane».


Mentre il problema principale in Iraq resta la sicurezza, la comunità cristiana si prepara a festeggiare il Natale «tentando di vivere normalmente in una situazione anormale» e cercando «la comprensione» dei connazionali musulmani, per poter «ricostruire» quanto è stato distrutto. Così l’arcivescovo latino di Baghdad, mons. Jean Benjamin Sleiman, racconta in questa intervista a Terrasanta.net con quale «speranza» i cristiani guardino al Sinodo dell’ottobre 2010 indetto dal Papa proprio accogliendo la richiesta dei vescovi iracheni: l’Oriente cristiano, denuncia, «sta sparendo». Perciò la vera questione è «come arginare l’esodo e ridare vita alle comunità cristiane». Le rivolte che attraversano oggi alcuni Paesi islamici segnalano a suo avviso «un eccesso di identità islamica»: la crisi dell’islam è «spirituale».

Mons. Sleiman, dopo gli ultimi attentati quali sono le vostre necessità e che aiuto si aspetta dalla Chiesa universale, dalla comunità internazionale?
La regola della nostra vita in questo Paese, specie dalla caduta del regime (di Saddam Hussein), è di vivere normalmente in una situazione anormale. Così ci siamo preparati in modo normale a celebrare il Natale con le novene, i canti delle corali, i presepi, gli alberi, anche se già ci arrivano notizie poco incoraggianti. Certo, la cosa fondamentale che ci manca è la sicurezza. In questo periodo preelettorale, siamo di nuovo angosciati (proprio in questo istante il boato di una grande esplosione, seguito dalle sirene, mi ferma: innalzo al Signore questo grido: adveniat regnum tuum!) dalla violenza sempre più sofisticatamente selvaggia e barbara. Le altre nostre necessità? La comprensione. Mi spiego: cerchiamo malgrado tutto di mettere a profitto gli spiragli di speranza nati da un serio miglioramento della situazione per rimetterci a ricostruire. Abbiamo tanti progetti specie per giovani, donne, anziani, progetti per lo sviluppo. Speriamo di essere compresi ed aiutati.

Come giudica il primo anno in carica del presidente Obama e la sua decisione di ritirare i soldati Usa dall’Iraq nel 2011? Quale effetto avrà la fine dell’occupazione sulla sicurezza del Paese?
Non mi permetto di giudicare il presidente degli Stati Uniti perché non posseggo gli elementi necessari per un giudizio. Posso solo dire che non mi sembra che siano stati realizzati dei progressi maggiori, almeno nella nostra area. Certo le violenze degli ultimi mesi non lasciano ben sperare. Si può temere una maggiore confusione e quindi una maggiore violenza.

Si parla della crisi d’identità che sta attraversando il mondo islamico oggi: dalla rivolta in Iran al partito Kefaya in Egitto, cresce l’estremismo violento in alcuni Paesi ma anche l’esasperazione per le dittature. Quale può essere a suo avviso lo sbocco di questa crisi?
Le crisi alle quali accenna non mi sembrano crisi dell’identità islamica. Anzi mi pare che le società islamiche patiscano di un eccesso di identità. Per cui fioriscono estremismi tirannici e violenti. E se c’è un problema di identità, è quello forse di non appagare le aspirazioni dei popoli. Perciò penso che la vera crisi di identità sia invisibile perché è spirituale.

Il Papa ha convocato il Sinodo per il Medio Oriente accogliendo le richieste dei vescovi iracheni. Quali devono essere a suo avviso gli obiettivi del Sinodo?
Gli obiettivi del Sinodo sono stati fissati dal Santo Padre: comunione e testimonianza. La comunione anche tra cattolici rimane una grande sfida. Abbiamo molte gerarchie. I riti si sono trasformati lungo la storia in comunità etnico-confessionali. La comunione ne patisce. Il che intacca la testimonianza. Se la carità è lo specifico della nostra testimonianza, dobbiamo prima riuscire ad incarnare la nostra comunione.

Si parla di una missione e di un ruolo specifico dei cristiani in Medio Oriente. Quali riscontri ottiene dai suoi fedeli in merito a questa questione così difficile di fronte alla situazione in Iraq?
I fedeli nostri in Iraq sono piuttosto tentati dal sogno di partire, di vivere altrove. Anche se sono convinti della loro missione, e della specificità della loro presenza in questo Paese, la delusione, la stanchezza ormai storica, le umiliazioni degli ultimi anni in particolare, l’instabilità che sfocia in violenze di ogni genere, li scoraggiano. Tuttavia lo Spirito ispira ancora imprese e iniziative, personali e comunitarie, che vanno nel senso di una speranza per un avvenire migliore. Penso all’entusiasmo di religiose e religiosi per l’educazione, per le opere sociali, per la ricostruzione dell’uomo. È questa la missione dei cristiani in Medio Oriente: costruire, ricostruire l’uomo.

Pensa sia possibile frenare l’emigrazione?
Non sarà facile. Ma non è impossibile frenare l’emigrazione se viene ristabilita la sicurezza e rifondato lo Stato di diritto.

Quali sono le sue aspettative e i suoi auspici per il Sinodo?
Mi auguro che il Sinodo possa chinarsi sui problemi odierni ed eviti la tentazione di parlare sempre di un Oriente che non esiste più. E poi l’Oriente cristiano sta sparendo. Come arginare l’esodo e ridare vita alle comunità cristiane: ecco la vera questione.

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