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Il Dono di Betlemme

22/12/2009  |  Milano
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Il Dono di Betlemme
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Come ogni Natale guardiamo tutti a Betlemme. Ci fermiamo davanti alle immagini dell'ingresso del patriarca alla basilica della Natività, ascoltiamo i discorsi sulla «Betlemme dietro il muro», ci rallegriamo per i pellegrini che anche quest'anno sono numerosi nella città dove Gesù è nato. C'è un rischio, però, rispetto al quale dobbiamo fare molta attenzione: quello di ricadere nello stereotipo del «solito Natale in Terra Santa». Guardare a Betlemme il 25 dicembre è, invece, un'esperienza che ci deve scuotere.


Come ogni Natale guardiamo tutti a Betlemme. Ci fermiamo davanti alle immagini dell’ingresso del patriarca alla basilica della Natività, ascoltiamo i discorsi sulla «Betlemme dietro il muro», ci rallegriamo per i pellegrini che anche quest’anno sono numerosi nella città dove Gesù è nato. C’è un rischio, però, rispetto al quale dobbiamo fare molta attenzione: quello di ricadere nello stereotipo del «solito Natale in Terra Santa». Guardare a Betlemme il 25 dicembre è, invece, un’esperienza che ci deve scuotere.

Lo spiegava con grande chiarezza il Papa domenica scorsa quando, durante l’Angelus in piazza San Pietro, ricordava che l’evento di Betlemme non può essere ridotto a una favola. E ancora ieri – nel discorso alla Curia romana in cui ha tracciato il bilancio del 2009 della Chiesa cattolica – è tornato proprio su questo concetto, ricordando il suo viaggio di maggio in Terra Santa. «L’incontro con i luoghi della salvezza nella chiesa dell’annunciazione a Nazaret, nella grotta della natività a Betlemme, nel luogo della crocifissione sul Calvario, davanti al sepolcro vuoto, testimonianza della risurrezione – ha detto il Papa -, è stato come un toccare la storia di Dio con noi. La fede non è un mito. È storia reale, le cui tracce possiamo toccare con mano. Questo realismo della fede ci fa particolarmente bene nei travagli del presente. Dio si è veramente mostrato. In Gesù Cristo Egli si è veramente fatto carne. Come Risorto Egli rimane vero Uomo, apre continuamente la nostra umanità a Dio ed è sempre il garante del fatto che Dio è un Dio vicino. Sì, Dio vive e sta in relazione con noi. In tutta la sua grandezza è tuttavia il Dio vicino, il Dio-con-noi, che continuamente ci chiama: Lasciatevi riconciliare con me e tra voi! Egli sempre pone nella nostra vita personale e comunitaria il compito della riconciliazione».

Sono parole che valgono per ogni pellegrino che si reca in Terra Santa. E sarebbe davvero bello se quanti di noi hanno già vissuto questa grazia si accostassero con questo spirito ai propri ricordi di Betlemme. Altrimenti rischiamo di fare solo del sentimentalismo, che è esattamente il contrario della logica dell’incarnazione che il Natale ci annuncia. In questa direzione va anche il messaggio  che il patriarca Fouad Twal ha indirizzato per questo Natale 2009 alla Chiesa di Gerusalemme. Sono parole che fanno i conti fino in fondo con il momento estremamente difficile che la Terra Santa sta vivendo: «I nostri sogni di una riconciliazione sembrano essere un’utopia», scrive senza mezzi termini il patriarca Twal, ricordando lo stallo nei negoziati, gli scontri sulla spianata delle moschee a Gerusalemme, i continui rinvii nello scambio dei prigionieri. Eppure – continua il presule – la speranza è viva e cita alcuni suoi segni: la nuova clinica pediatrica di Betlemme, l’università di Madaba, il Sinodo per il Medio Oriente che la Chiesa celebrerà nel 2010. È la speranza operosa di chi prende sul serio la logica del Natale: «La pace è un dono di Dio agli uomini di buona volontà. Dobbiamo guadagnarcelo», scrive Twal. È di nuovo il realismo del Natale di cui parla il Papa.

C’è, infine, anche una terza voce che mi piace rilanciare in questo Natale 2009 della Terra Santa: è una riflessione scritta da padre David Neuhaus, il vicario della piccola comunità dei cattolici di espressione ebraica che a Gerusalemme vivono una vocazione particolare di ponte tra la Chiesa cattolica e il mondo ebraico. È una riflessione biblica sul brano evangelico di Matteo in cui si narra la genealogia di Gesù. Un elenco di nomi che per molti di noi risulta sempre un po’ ostico. Eppure rivela in tutto il suo spessore il legame tra la nascita di Gesù e il popolo di Israele. Ma c’è  un dettaglio che padre Neuhaus sottolinea: nel brano di Matteo si ricorda un unico evento storico del popolo ebraico, la deportazione a Babilonia. Non c’è, ad esempio, l’esodo dall’Egitto. Gesù nasce anche dentro la sofferenza di questo popolo. Ed è bello ricordarlo anche in questi giorni di nuove incomprensioni legate alla scelta di riconoscere le virtù eroiche di Pio XII. E alla vigilia della visita che Benedetto XVI compirà il 17 gennaio alla sinagoga di Roma. In un certo senso – ci dice padre Neuhaus -, anche il dolore vissuto dal popolo di Israele lungo i secoli è qualcosa che Gesù ha condiviso con la sua nascita. È proprio per questo che – pur nelle divergenze di opinione – da cristiani dobbiamo comunque imparare a rispettarlo.

Clicca qui per leggere il discorso del Papa alla Curia Romana in cui ricorda il viaggio in Terra Santa

Clicca qui per leggere il messaggio di Natale del patriarca Twal

Clicca qui per leggere la riflessione di padre Neuhaus sulla genealogia di Gesù

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