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Berlanty non tornerà

11/12/2009  |  Milano
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Torniamo sulla vicenda di Berlanty Azzam, laureanda di Gaza all'Università di Betlemme, di cui abbiamo parlato la settimana scorsa. Mercoledì è arrivata la sentenza della Corte Suprema. Una sentenza che ha respinto la richiesta della giovane: Berlanty non potrà lasciare la Striscia di Gaza e tornare alla Bethlehem University per completare l'ultimo mese di studi che le manca alla laurea...


Di solito non dedico due puntate della Porta di Jaffa di seguito allo stesso tema. Ma in questo caso devo proprio fare un’eccezione, perché mercoledì è arrivata la sentenza della Corte Suprema sul caso di Berlanty Azzam, la studentessa di Gaza di cui parlavamo la settimana scorsa. Una sentenza che ha respinto la sua richiesta: Berlanty non potrà tornare alla Bethlehem University per completare l’ultimo mese di studi che le manca alla laurea.

Torno a parlare di questa vicenda anche perché nessun media italiano ha rilanciato la notizia. Evidentemente considerano la vita di una ragazza di 22 anni un fatto trascurabile. E allora ricapitoliamo i fatti: Berlanty dal 2005 studia business administration da «clandestina» a Betlemme perché il governo israeliano non rilascia ai giovani di Gaza i permessi per studiare in Cisgiordania (anche se la Bethlehem University – che è poi la locale Università cattolica – si trova in un’area che in teoria sarebbe affidata al controllo delle autorità locali palestinesi). È una «clandestina», però studia e sta per laurearsi, perché non si può dire a una ragazza di Gaza che deve rassegnarsi a vivere in una prigione grande 360 chilometri quadrati. Solo che a un mese dalla laurea – il 26 ottobre scorso – Berlanty viene fermata a un posto di blocco, scoperta, e rimandata, legata e bendata, a Gaza. E adesso la giustizia israeliana dice che non può tornare a finire i suoi studi. La cosa che più mi colpisce è l’ipocrisia della sentenza. Vi si afferma che sì, è vero, non ci sarebbe nessuna ragione plausibile per cui a Berlanty debba essere negato il permesso di studiare a Betlemme: non c’è nessuna indagine a carico suo o della sua famiglia, persino il nunzio apostolico (che è cancelliere della Bethlehem University) ha testimoniato in suo favore. Però – sostiene la Corte – consentirle ora di frequentare l’ultimo mese di università «sarebbe un’ingiustizia nei confronti di tutti quegli altri giovani di Gaza a cui il permesso di studio è stato negato».

Una questione di «equità», dunque. Davvero questa è ipocrisia pura: sappiamo tutti che Berlanty non è l’unica «clandestina» di Gaza presente nei Territori. Si parla di alcune migliaia di persone che vivono con l’incubo di essere fermate a un posto di blocco e vedersi rispedire in quel buco nero di cui il mondo con grande tranquillità è tornato a disinteressarsi. La giovane Azzam non può tornare a studiare a Betlemme perché vorrebbe dire offrire una speranza a tutta questa gente. Significherebbe riconoscere ciò che è sotto gli occhi di tutti: il fatto che il blocco non scalfisce Hamas, ma provoca solo sofferenze inutili a tanti innocenti. Quando qualche mese fa hanno fatto il giro del mondo le immagini degli asini dipinti a strisce per sostituire le zebre dello zoo di Gaza morte di stenti, la diplomazia mediatica si è mossa: il sindaco di Ramat Gan si è offerto di mandare delle zebre vere ai bambini di Gaza. Blocco o non blocco. Per un caso umanitario come è quello di Berlanty, invece, non è successo nulla del genere: a lottare per lei sono state solo le solite associazioni israeliane impegnate per la difesa dei diritti umani. Quelle che di fronte a un’applicazione rigida di norme discutibili non possono fare assolutamente nulla.

C’è però un altro aspetto che – da cristiani – non possiamo ignorare in questa storia: il fatto che la vicenda di Berlanty si sia svolta proprio a Betlemme. Lo sottolineava ancora pochi giorni fa, prima della sentenza, il rettore della Bethlehem University facendo il punto della situazione sul sito Internet dell’università. In questo tempo di Avvento invitava alla preghiera citando le parole del profeta Isaia: «Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri». Questo è il Natale che da troppo tempo attende la piccola comunità cristiana di Gaza, da cui Berlanty proviene. Tra pochi giorni, come ogni anno, la parrocchia cattolica riceverà la visita del suo pastore, il patriarca Fouad Twal. E come ogni anno lui si farà voce delle sofferenze di questo angolo dimenticato del mondo. Forse sarebbe ora che li ascoltassimo davvero.

Continuiamo a parlare del processo di pace, degli insediamenti, di Gerusalemme Est, di Obama, di Netanyahu, di Barghouti… Ma nel Medio Oriente di oggi non c’è più posto per le persone normali. Questa è l’amara verità del caso Berlanty Azzam. L’icona di questa Terra Santa ferita dove ancora una volta il Verbo chiede di poter tornare davvero a farsi carne.

Clicca qui per leggere il comunicato della ong Gisha sulla sentenza del caso Berlanty Azzam

Clicca qui per leggere il testo scritto dal rettore della Bethlehem University

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