Vi sono alcuni animali che nell’immaginazione popolare hanno un significato decisamente negativo, ma cui è stato attribuito anche un valore positivo ben presente nella simbologia cristiana. Chi visita la Terra Santa con attenzione può imbattervisi.
Uno di essi è il serpente. Tutti lo ricordano come il tentatore che ha causato il peccato di Eva, e anche negli Evangeli non si possono dimenticare appellativi quali «serpenti» e «razza di vipere» rivolti da Gesù e da Giovanni Battista agli ipocriti. Ma è anche vero che lo stesso Gesù chiede ai suoi discepoli di essere «prudenti come i serpenti» (Mt 10,16), in accordo con un’idea diffusa nella cultura pagana circostante che vedeva in quell’animale avvolto di mistero un simbolo della sapienza. Di più: il serpente non è solo sapienza, è vita. Vita per sé perché lascia cadere la sua pelle per acquistarne una nuova, il che nella spiritualità cristiana diventa esempio dell’esistenza ricreata dell’uomo redento; e vita per gli altri, di cui parla lungamente Plinio (Storia naturale 29,21-22) riferendo del suo utilizzo nella preparazione dei medicinali. Ma in un’accezione ben più significativa per noi bisogna ricordare nell’Antico Testamento l’enigmatico episodio di Nm 21, in cui gli Israeliti per salvarsi dai morsi dei serpenti dovevano guardare un serpente di bronzo innalzato su un’asta. Il serpente è dunque datore di vita oltre che di morte: e a questo episodio si riferirà Gesù in Gv 3, annunciando a Nicodemo che allo stesso modo «bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna». A lui si deve guardare, come ricorda Gv 19,33: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto». A questo complesso mistero allude l’antico serpente di bronzo visibile in cima a una colonna della basilica Sant’Ambrogio a Milano. Ma le Chiese di tradizione orientale ne conservano una memoria ben più viva attraverso un oggetto liturgico. In luogo del pastorale ricurvo usato dai vescovi occidentali, i loro vescovi impugnano un’asta terminante in alto con due serpenti disposti in modo da formare una croce. Il vescovo che stringe in mano quell’asta annunzia al popolo la salvezza.
Un altro animale è il pavone. Esso non si trova nella Bibbia, ma è ben presente nella nostra civiltà artistica e letteraria. Nel linguaggio comune è un simbolo piuttosto negativo: è la vanità, l’esibizionismo. Ma pure altre valenze vi sono legate. Presso molti Padri della Chiesa la sua coda dai molti occhi e dai molti colori simboleggia la ricchezza delle possibili interpretazioni della Scrittura. Tuttavia il significato prevalente è anche nel suo caso quello della vita. Ancora Plinio (Storia naturale 10,22) ricorda che ad ogni inverno esso perde le sue meravigliose piume per poi ritrovarle ad ogni primavera. E Agostino (La Città di Dio 21,4), in un discorso in cui cerca di mostrare la plausibilità della vita anche al di là della morte, afferma di aver visto la sua carne cotta che dopo diverse settimane non presentava segni di putrefazione ma era soltanto rinsecchita.
Non è ancora una simbologia; ma la presenza insistente del pavone nell’arte cimiteriale mostra che esso, in seguito a sviluppi a noi poco noti, era divenuto soprattutto dal secolo V un simbolo di risurrezione e di vita, quindi anche di Cristo e dell’uomo redento. Ancora oggi esso è spesso rappresentato, per quanto mai in posizione centrale, soprattutto nelle chiese ortodosse e armene.