Sono giornate di svolte a parole in Medio Oriente. Dal «congelamento» degli insediamenti alla liberazione di Gilad Shalit in cambio di detenuti palestinesi. Forse allora sono i giorni ideali per soffermarsi su un personaggio che vive di parole. E che ha lanciato un suo piano di pace che invece contiene davvero qualcosa di nuovo. Stiamo parlando di Ray Hanania, un vulcanico palestinese che vive a Chicago. Giornalista di professione e sposato con un'ebrea, è un volto interessante della diaspora palestinese.
Sono giornate di svolte a parole in Medio Oriente. Dal «congelamento» degli insediamenti (solo dieci mesi e senza Gerusalemme Est) alla liberazione di Gilad Shalit in cambio di detenuti palestinesi (ancora tutta da verificare). Forse allora sono i giorni ideali per soffermarsi su un personaggio che vive di parole. E che ha lanciato un suo piano di pace che invece contiene davvero qualcosa di nuovo.
Stiamo parlando di Ray Hanania, un vulcanico palestinese che vive a Chicago. Giornalista di professione (per anni ha seguito la politica locale), sposato con un’ebrea, è un volto interessante della diaspora palestinese. Fu suo padre, un arabo cristiano di Gerusalemme, a emigrare negli Stati Uniti, dove ha combattuto nell’esercito durante la Seconda guerra mondiale. Lo stesso Ray è stato nell’aviazione durante la guerra del Vietnam. Uno di quegli arabi, dunque, del tutto a loro agio nella società americana. Ed è da questa posizione che, negli ultimi anni, ha cominciato a occuparsi sempre di più della terra delle sue radici, il Medio Oriente. È diventato un columnist i cui articoli vengono pubblicati su parecchi giornali in giro per il mondo. La sua personalissima risposta all’11 settembre, poi, è stata dare sfogo alla sua vena umoristica con il The Israeli-Palestianian Comedy Tour, uno spettacolo itinerante messo in scena insieme al comico israeliano Charley Warady e all’ebreo afro-americano Aaron Freeman. Lo slogan era: «Se possiamo ridere insieme, possiamo anche vivere insieme».
Adesso però Hanania ha scelto di compiere un passo ancora più provocatorio: da palestinese della diaspora ha deciso di candidarsi come successore di Abu Mazen, sempre ammesso che prima o poi le elezioni palestinesi si tengano davvero. L’annuncio l’ha dato dal blog che tiene su The Huffington Post, il sito cult dei blogger americani. Ma ha anche lanciato un apposito sito, che si chiama Yalla Peace, che in arabo suona molto simile a Peace Now. Ray Hanania, da Chicago, non si illude ovviamente di vincerle le elezioni: «Il mio obiettivo – scrive – è aiutare a far ripartire davvero il processo di pace tra israeliani e palestinesi. Non tanto però spingendo i leader a fare il loro lavoro e a smetterla di girare intorno; piuttosto cercando di parlare direttamente alla gente che vive in Israele e in Palestina».
Potrebbe sembrare una boutade di un giornalista in cerca di pubblicità. Invece basta leggere il suo testo per capire che Ray Hanania fa sul serio. E ha accompagnato la sua «discesa in campo» con la pubblicazione di un «piano di pace» in 16 brevi punti. Molte delle idee contenute in questo documento sono le solite: i due Stati, i confini del 1967 come punto di riferimento ma con scambi di territori per evitare di sgomberare gli insediamenti più popolosi, la città vecchia di Gerusalemme come città aperta… Insomma: ci sono tutti quelli che chi segue le vicende del Medio Oriente sa bene essere i requisiti minimi per poter parlare sul serio di due Stati. Nel piano di Ray Hanania c’è però anche qualcosa di più: non è solo un’ipotesi «tecnica» per una soluzione del conflitto; per la prima volta ci troviamo davanti a un testo che prova a fare i conti anche con i sentimenti dei due popoli in conflitto e con le ferite da rimarginare.
Lo ha fatto notare bene Bradley Burston, commentando la proposta di Ray Hanania sul suo blog sul sito di Haaretz. «Prendiamo ad esempio – commenta Burston – quello che scrive su uno dei nodi più spinosi della Cisgiordania: la città di Hebron. Gli ebrei che vorranno vivere a Hebron, città che finirà nel futuro Stato palestinese, dovranno essere autorizzati a farlo e – specifica Hanania – "dovranno essere protetti, così come i non-ebrei. Di fatto per ogni ebreo che vorrà vivere in Palestina, un palestinese dovrà essere autorizzato a vivere in Israele". Quanto sta proponendo Hanania – annota Burston – è una soluzione dei due Stati che non affronta solo le variabili quantificabili, ma sottolinea i carichi emotivi, e l’angoscia presente nella storia di entrambe le parti. I cinici – e soprattutto, tra loro, gli estremisti -, rigetteranno questa proposta, definendola semplicistica e costruita a tavolino. Ma se un giorno mai costruiremo la pace in Terra Santa, lo faremo nonostante gli estremisti e non certo grazie a loro».
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Clicca qui per leggere su Haaretz il commento di Bradley Burston