Durante il suo viaggio a Cipro, in programma per il prossimo giugno, Benedetto XVI alloggerà probabilmente in un convento francescano. A Nicosia, infatti, i locali della nunziatura occupano una piccola ala della residenza dei Frati minori adiacente alla chiesa della Santa Croce. Il complesso sorge nella zona cuscinetto amministrata dalle Nazioni Unite ed è circondato dai segni lasciati dalla guerra civile degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. Emblema eloquente della frattura che ancora spacca la società di quest'angolo d'Europa proteso sul Medio Oriente.
Quando giunge nella capitale di un Paese che intrattiene relazioni diplomatiche con la Santa Sede, il Papa è solito risiedere nella nunziatura apostolica. Se la consuetudine verrà rispettata anche col viaggio a Cipro in programma nel prossimo giugno, Benedetto XVI per alcuni giorni vivrà in un convento di francescani.
A Nicosia, infatti, i locali della nunziatura occupano una piccola ala del convento dei frati minori adiacente alla chiesa della Santa Croce. L’edificio sacro e la residenza dei frati formano come una L ad angolo ottuso. L’abitazione, non dissimile da tante altre canoniche sparse per il mondo, è distribuita su due piani, il rialzato e il primo. Le stanze riservate alla nunziatura si trovano al primo piano e occupano non più di 80 metri quadrati: un appartamentino dignitoso ma privo di lussi, lo stretto necessario per ospitare il nunzio e il suo segretario quando sono sull’isola (il diplomatico pontificio accreditato a Cipro rappresenta la Santa Sede anche in Terra Santa e quindi abitualmente risiede là).
Quella della Santa Croce è l’unica parrocchia di rito latino della capitale cipriota e sorge a poche decine di metri dalla chiesa dei cattolici maroniti.
Siamo nel centro storico, a due passi della Porta di Pafos, uno dei varchi delle antiche mura veneziane che nel 1571 non valsero a contenere l’assalto degli ottomani, venuti a strappare Cipro alla Serenissima. Battaglie lontane.
Ve ne sono di più recenti, che hanno prodotto cicatrici ancora impresse nella carne viva del popolo e della città. Se per qualche giorno abiterà coi frati, Papa Ratzinger le toccherà quasi con mano. Gli edifici dei francescani sono situati nella zona cuscinetto amministrata dalle Nazioni Unite e creata nel 1974 sulla linea del cessate-il-fuoco stipulato tra le forze di invasione inviate da Ankara a spalleggiare la minoranza turco-cipriota e quelle del governo locale e della maggioranza greco-cipriota (le relazioni tra le due componenti etniche di Cipro andarono peggiorando dopo l’indipendenza dagli inglesi ottenuta nel 1960).
Le finestre della nunziatura s’affacciano proprio sulla cinta del convento e su una strada deserta, il cui silenzio è rotto solo dal raro passaggio dei camion militari da e per la vicina caserma del contingente turco. La cesura che permane tra le due anime di Cipro si materializza lì, quasi a portata di polpastrelli. Prende la forma del filo spinato, dei muri ancora sbrecciati dai colpi d’artiglieria, delle garitte e feritoie difese da sacchi di sabbia ingrigiti dal tempo, degli sbarramenti provvisori immobili da decenni.
Sul lato sinistro della chiesa, Victoria Street è stata uccisa da un muro che le nega la sua anima di via di comunicazione. Nessuno vi può più transitare e il vecchio ingresso al convento è sprangato. Frati e ospiti vanno e vengono, ormai, da un cancello a destra della facciata della chiesa. Da lì si accede al piccolo giardino fiorito che rare volte ospita i ricevimenti della nunziatura, mentre ogni domenica accoglie i tanti migranti che dopo la Messa mattutina vi trovano un angolo in cui riposare e incontrare i connazionali compagni d’avventura.
Quando arrivano ospiti di riguardo si spazza la casa. Di certo, entro giugno, la Custodia di Terra Santa darà una rinfrescata al convento per renderlo più accogliente. Forse anche le autorità competenti decideranno di fare un po’ di pulizia tutt’intorno e di scacciare la desolazione da quell’angolo a ridosso della Porta di Pafos. L’augurio a tutta Cipro è che riesca presto a sgombrare il campo da ogni «maceria» che sbarra il passo alla riconciliazione.