Israele ha negato ogni collaborazione alla Missione d'indagine istituita dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite per indagare sulle violazioni commesse durante il conflitto di Gaza del dicembre-gennaio scorsi. Inoltre ha espresso in tutti i modi il suo rifiuto del rapporto finale stilato dalla Missione Onu. Lapidario il presidente Shimon Peres: «Il rapporto della Commissione Goldstone è una beffa della storia e non sa distinguere tra l'aggressore e l'aggredito». Diamo un rapido sguardo alle principali critiche espresse dalle autorità israeliane.
Israele ha rifiutato sin dall’inizio ogni collaborazione con la Missione d’indagine istituita dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite per indagare sulle violazioni commesse durante il conflitto di Gaza del dicembre-gennaio scorsi. In coda al rapporto Diritti umani in Palestina e altri territori arabi occupati è riprodotto il carteggio tra il presidente della Missione, il giudice sudafricano di origini ebraiche Richard Goldstone, e il rappresentante diplomatico di Israele presso la sede Onu di Ginevra. In una lettera del 7 aprile 2009 l’ambasciatore Aharon Leshno-Yaar spiega al magistrato le ragioni del diniego: «Mentre apprezziamo i suoi sforzi di ottenere l’assicurazione che la Missione agirà senza pregiudizi e con imparzialità, resta il fatto che la base legale della missione è la Risoluzione S-9/1 del Consiglio per i diritti umani. Questa risoluzione grossolanamente politicizzata pregiudica la questione in esame, determinando in partenza che Israele ha perpetrato gravi violazioni dei diritti umani e insinuando che ha deliberatamente preso di mira civili e strutture mediche, e ha sistematicamente distrutto il patrimonio culturale del popolo palestinese».
Il mandato della Missione, osserva ancora il diplomatico, «si focalizza esclusivamente sulle violazioni israeliane dei diritti umani e del diritto umanitario». Inoltre, continua la lettera dell’ambasciatore «Israele è impegnata in una serie di approfondite indagini su molti aspetti dell’Operazione "Piombo Fuso" e ha cooperato intensamente con la Commissione d’inchiesta del Segretario Generale delle Nazioni Unite».
La linea di non collaborazione preannunciata dall’ambasciatore è stata metodicamente messa in atto. Presentando a New York il rapporto stilato dalla Missione, il 15 settembre scorso Goldstone ha lamentato: «Non ci è stato consentito l’accesso in Cisgiordania e nel territorio di Israele. È spiacevole che Israele non ci abbia permesso di varcare i suoi confini. Non si è trattato semplicemente di non collaborazione da parte di istituzioni governative. Abbiamo dovuto ascoltare a Ginevra i testimoni israeliani e ad Amman quelli dalla Cisgiordania. Per la stessa ragione la Striscia di Gaza è stata raggiunta transitando per il valico egiziano di Rafah».
Da gennaio ad oggi Israele è tornata sull’Operazione Piombo fuso in varie occasioni. Vanno citate soprattutto le risultanze di cinque commissioni interne d’inchiesta delle forze armate israeliane, rese pubbliche il 22 aprile; il rapporto L’operazione di Gaza, 27 dicembre 2008 – 18 gennaio 2009. I fatti e gli aspetti legali, un testo di 159 pagine pubblicato dallo Stato di Israele in luglio e, infine, il sito Gaza Facts – The Israeli Perspective, curato dal ministero degli Esteri.
Oltre a questo sforzo per render pubblica e argomentare la sua lettura dei fatti, Israele non ha risparmiato energie nell’esprimere il suo rifiuto del rapporto finale stilato dalla Missione Onu. L’argomento è stato molto dibattuto sui mezzi di informazione israeliani ed è impossibile qui rendere conto adeguatamente. Ci limitiamo a registrare le reazioni ufficiali delle massime autorità dello Stato.
Il 16 settembre il presidente Shimon Peres è lapidario: «Il rapporto della Commissione Goldstone è una beffa della storia. Non sa distinguere tra l’aggressore e uno Stato che esercita il diritto di autodifesa. La guerra stessa è un crimine. L’aggressore è il criminale. La parte che esercita l’autodifesa non ha alternative. (…) I membri della commissione non avrebbero mai scritto un rapporto del genere se i loro figli abitassero a Sderot e fossero sottoposti al terrorismo del quotidiano lancio di razzi».
Non appena il rapporto viene reso pubblico è il portavoce del ministero degli Esteri a fargli le pulci: «Israele è sbigottita e delusa dal Rapporto pubblicato il 15 settembre 2009 dalla Missione d’indagine su Gaza. Il Rapporto ignora il diritto di Israele all’autodifesa, fa affermazioni non comprovate sulle sue intenzioni e mette in dubbio i valori democratici di Israele e il suo principio di legalità. E al contempo ignora del tutto la deliberata strategia di Hamas che opera in mezzo e dietro alla popolazione civile trasformando aree densamente popolate in campi di battaglia. Chiudendo un occhio su queste tattiche finisce per premiarle».
Il dicastero per la politica estera critica anche il comportamento della Missione che durante i sopralluoghi a Gaza si è fatta continuamente accompagnare dal funzionari di Hamas e ha rifiutato di ricusare uno dei suoi membri – si allude senza nominarla alla professoressa Christine Chinkin – che già in partenza «nutriva prospettive politiche chiare sulle questioni oggetto di indagine». «Anche la pratica senza precedenti – prosegue il comunicato – di condurre udienze pubbliche teletrasmesse suscita profonda preoccupazione. Il fatto che tutti i testimoni fossero stati esaminati e selezionati in precedenza, e che a nessuno siano state poste domande relative alle attività terroristiche palestinesi o alla dislocazione di armamenti e terroristi in aree civili non fa altro che alimentare la preoccupazione che abbiamo a che fare con una ben orchestrata campagna politica».
Israele ritiene poi che il Rapporto finale abbia un tono inappropriato perché giunge ad esprimere giudizi di colpevolezza, benché ciò non competa alla Missione sulla scorta del mandato ricevuto dal Consiglio per i diritti umani dell’Onu. Viene poi respinta la sfiducia espressa dal Rapporto Goldstone circa la volontà di Israele di indagare a fondo e onestamente su eventuali abusi o crimini di guerra commessi dai suoi militari.
Il 29 settembre, durante la seduta del Consiglio Onu per i diritti umani a Ginevra, è l’ambasciatore Aharon Leshno Yaar a stroncare il Rapporto Goldstone. Un documento «vergognoso», lo definisce, che in 575 pagine non menziona il diritto all’autodifesa, e non dedica «una sola parola al contrabbando di armi nella Striscia di Gaza attraverso centinaia di tunnel».
«Gli autori del rapporto – secondo il diplomatico israeliano – avevano poco interesse a ricercare i fatti. Il Rapporto è stato concepito come il tassello di una campagna politica, e rappresenta un attacco politico verso Israele e verso ogni Stato che si trovi costretto a fronteggiare una minaccia terroristica».
L’ambasciatore chiosa: «Nel contesto di una complicata guerra urbana la perdita di vite civili è inevitabile. Si possono anche verificare episodi in cui i soldati non mantengono sempre gli standard che ci aspettiamo da loro. La prova di una genuina democrazia sta nel come fa fronte a questi casi e a come esamina i propri difetti. Dopo l’operazione di Gaza, Israele ha aperto oltre 100 distinte indagini su questioni operative di fondamentale importanza come i danni subiti da edifici delle Nazioni Unite e da strutture mediche, insieme a specifici episodi di comportamenti indegni. Di queste inchieste 23 si sono concluse con procedimenti penali. E si sta ancora procedendo. Qualsiasi decisione sull’apertura o meno di un procedimento penale può essere appellata da qualunque cittadino israeliano o palestinese davanti alla Corte Suprema d’Israele, un tribunale che è citato con rispetto e ammirazione in tutto il mondo democratico».
Ultimo a esprimersi, il primo ottobre, alla vigilia del voto sul Rapporto da parte del Consiglio per i diritti umani, è il primo ministro Benjamin Netanyahu che sintetizza in tre punti la posizione del suo governo. Se l’organismo ginevrino dovesse far proprio il Rapporto Goldstone darebbe «totale legittimità ai terroristi che fanno fuoco sui civili e si nascondono al riparo dei civili» e ciò rappresenterebbe un colpo mortale per la lotta al terrorismo. In secondo luogo riporterebbe l’Onu ai giorni più bui in cui vennero adottate decisioni assurde. Infine, per il primo ministro avallare il Rapporto Goldstone equivarrebbe ad affossare il processo di pace, perché «Israele non si sentirebbe in grado di fare passi avanti e assumersi dei rischi, qualora si vedesse negare il diritto all’autodifesa».