Parlando alla fine di agosto davanti a religiosi libanesi di tutte le confessioni cristiane e musulmane, il primo ministro designato Saad Hariri ha affermato che una delle priorità del suo futuro governo sarà quella di «promuovere il turismo religioso, in particolare i pellegrinaggi ai luoghi cristiani, come Nostra Signora di Harissa e il villaggio di Qana, nel Sud», ritenuto da alcuni come la vera Cana di Galilea del primo miracolo di Gesù. Il Libano segue così l’esempio degli altri Stati del Medio Oriente che cercano, da qualche anno ormai, di attirare con ogni mezzo i pellegrini europei. Il governo di Damasco ha lanciato, subito dopo l’avvio delle celebrazioni per i duemila anni di san Paolo, una vasta campagna pubblicitaria sulla Siria, come «culla del cristianesimo» e punto di partenza dei viaggi missionari dell’apostolo, fino a elaborare diverse iniziative comuni con alcune agenzie che promuovono pellegrinaggi. Nel programma dei politici occidentali in visita nella capitale siriana, vengono ormai inserite, oltre all’appuntamento classico della Moschea omayyade, anche tappe religiose cristiane come la casa di Anania oppure i monasteri di Saydnaya e Maalula. Sollecitate da tale rifiorito interesse statale, le singole realtà cristiane in Siria hanno cominciato a invitare le autorità locali a partecipare alle proprie celebrazioni – come la festa della Madonna a Marmarita il 20 agosto e quella di sant’Elia (Mir el-Hayy) a Qassir il 20 luglio – con la speranza di finire sulla cartina turistica del Paese.
Lo stesso interesse era emerso prima in Giordania. Tutti si ricordano, sul finire del secondo millennio, il braccio di ferro tra il governo giordano e quello israeliano sull’individuazione del luogo del battesimo di Gesù da cui dipendeva un importante flusso di pellegrini. Questo sito assiste oggi a una continua crescita di arrivi (oltre centomila l’anno, al 70 per cento occidentali), e si aggiunge ai già noti siti di Madaba e del Monte Nebo. Il turismo ha rappresentato nel 2008 il 15,4 per cento del prodotto interno lordo giordano, ossia 2,8 miliardi di dollari, con un aumento del 20 per cento rispetto al 2007.
L’Egitto non sfugge certo a questa caccia ai turisti religiosi. I siti web ufficiali (ad esempio www.kenanaonline.com) elencano i monasteri e chiese di ogni provincia del Paese accanto ai poli d’interesse storico e islamico, oppure propongono il percorso della Sacra Famiglia in Egitto (www.sis.gov.eg). Questa politica di promozione del turismo religioso non sempre è dettata da una vera e propria riscoperta – da parte dei governi – del pellegrinaggio come tesoro di esperienza religiosa, sociale e culturale dove si incontrano le tradizioni di vari popoli. Né tantomeno come cammino alla ricerca della fede che porta alla pace e alla fratellanza universale. Spetta tuttavia alle comunità cristiane d’Europa o d’America cogliere questa nuova opportunità per conoscere non solo nuovi luoghi, ma anche nuovi fratelli. Includere nei tour delle visite alle realtà cristiane d’Oriente – come spesso accade durante i pellegrinaggi in Terra Santa – aiuta queste ultime a non sentirsi abbandonate e a rinsaldare la loro speranza in un futuro migliore. Di questo altro modo di dire pellegrinaggio, cioè di conforto personale con persone in grado di illuminare sui contenuti della fede, ne uscirebbero tutti quanti arricchiti. Diversamente si farebbe il gioco dei governi, che vedono nei pellegrinaggi solo un’importante fonte di valuta pregiata. Magari liquidando il desiderio dell’incontro diretto con una generica affermazione della guida di turno: «I cristiani vivono benissimo. Qui c’è tolleranza».