Martedì 22 settembre a New York avrà luogo un vertice a tre fra Barack Obama, Abu Mazen e Benjamin Netanyahu. Piuttosto che parlare dei temi classici del conflitto (su cui da mesi non arrivano risposte) sarebbe bello che il presidente palestinese e il premier israeliano fossero invitati a prestare attenzione a due notizie apparse in questi giorni su alcuni quotidiani del Medio Oriente. Due storie che raccontano la quotidiana insostenibilità di questo conflitto...
Faccio davvero fatica a riporre grandi speranze nel vertice a tre tra Barack Obama, Abu Mazen e Benjamin Netanyahu che si terrà martedì a New York. Se fossi però nel presidente americano, piuttosto che parlare dei temi classici del conflitto (su cui da mesi non arrivano risposte) inviterei il presidente palestinese e il premier israeliano a discutere su due notizie apparse in questi giorni su quotidiani del Medio Oriente. Due storie che raccontano la quotidiana insostenibilità di questo conflitto.
La prima notizia è apparsa sul quotidiano saudita Arab News e racconta che cosa è successo in questi giorni alla Tomba di Abramo a Hebron. Come molti penso sapranno quelli appena trascorsi sono stati giorni particolari sia per gli ebrei sia per i musulmani: essendo entrambi i calendari legati ai mesi lunari, tra sabato e domenica sono venite a coincidere due festività. Da una parte Rosh ha-Shanà, il capodanno ebraico (è iniziato l’anno 5770); dall’altra l’Eid al-Fitr, la festa che segna la fine del Ramadan, il mese sacro dei musulmani. Due festività religiose entrambe molto sentite. A Hebron una concomitanza del genere ha un sapore particolare, perché la Tomba di Abramo è un luogo veneratissimo sia dagli ebrei sia dai musulmani.
Per evitare problemi – dopo la strage compiuta nel 1994 dal colono Baruch Goldstein – l’edificio sacro è stato diviso in due parti da un vetro antiproiettile, con accessi distinti in modo che ebrei e musulmani non vengano a contatto. Quando, però, c’è una festività, anche questa soluzione non basta. Che cos’è successo, allora, in questi giorni a Hebron? Semplice: l’esercito israeliano ha fatto scattare le usuali norme applicate per le feste ebraiche. Così ai musulmani è stato impedito di accedere alla Tomba di Abramo, perché era Rosh ha-Shanà. Basta far finta di non sapere che è anche l’Eid al Fitr e il problema è risolto. Tutto questo in una città dove gli ebrei sono 5 mila e i musulmani 120 mila. Di fronte a due diritti, vince la legge del più forte: questa è l’esperienza quotidiana del conflitto che si vive a Hebron.
Eppure anche in questo modo le cose non sempre funzionano, e veniamo così all’altro articolo tratto dal Jerusalem Post. Una storia che ci porta a Pisgat Ze’ev, uno dei nuovi quartieri ebraici di Gerusalemme Est. Qui la costruzione del muro/barriera di difesa ha creato un problema molto singolare: nonostante tutti gli sforzi di «separare» tra loro israeliani e palestinesi due sobborghi arabi sono rimasti dalla parte israeliana. E così ora c’è l’ «emergenza teen-ager». Sì, perché i ragazzi arabi – che non possono più andare a fare il filo alle ragazze a Ramallah – adesso si riversano in massa (e con le stesse intenzioni) al centro commerciale di Pisgat Ze’ev. E a volte capita che anche qualche ragazza ebrea non disdegni le loro attenzioni. Non si tratta più di casi isolati – spiega l’articolo del Jerusalem Post – così è nato Eish L’Yahadut («Fuoco per il giudaismo») un’associazione di 35 volontari che girano per il centro commerciale spiegando alle ragazze di famiglia ebraica quanto possa diventare pericoloso mettersi insieme a un ragazzo arabo. La giudicate una storia surreale? Ieri era il terzo articolo più letto tra quelli riportati sul sito internet del Jerusalem Post.
Un luogo di culto in comune e un grande centro commerciale. Posti che avrebbero tutte le caratteristiche per poter unire tra loro persone. E invece diventano occasione per rinfocolare lo scontro. Sarebbe bello se una buona volta – dopo la fotografia di rito con le bandiere – a un vertice tra israeliani e palestinesi si parlasse anche di questo.
Clicca qui per leggere l’articolo di Arab News
Clicca qui per leggere l’articolo del Jerusalem Post