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Guerra di Gaza: crimini e misfatti secondo l’Onu

29/09/2009  |  Milano
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Guerra di Gaza: crimini e misfatti secondo l’Onu
New York, 15 settembre 2009. Richard Goldstone al Palazzo di Vetro dell'Onu presenta alla stampa il Rapporto della commissione d'indagine da lui presieduta.
(foto: Onu/Mark Garten)

Quest'oggi a Ginevra il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite discute il rapporto Diritti umani in Palestina e altri territori arabi occupati, che raccoglie le risultanze del lavoro svolto dalla Missione conoscitiva delle Nazioni Unite sul conflitto di Gaza. Il corposo documento (575 pagine) afferma che durante l'Operazione Piombo fuso - che si svolse dal 27 dicembre 2008 al 18 gennaio 2009 - sia le forze armate israeliane sia i gruppi combattenti palestinesi commisero crimini di guerra. Diamo uno sguardo, per sommi capi, al contenuto del Rapporto. 


Quest’oggi, 29 settembre 2009, a Ginevra il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite discute il rapporto Diritti umani in Palestina e altri territori arabi occupati, che raccoglie le risultanze del lavoro svolto dalla Missione conoscitiva delle Nazioni Unite sul conflitto di Gaza. Il corposo documento – 575 pagine, di cui ben 33 di Executive Summary – è stato presentato ai media il 15 settembre presso la sede centrale dell’Onu a New York e afferma che durante l’Operazione Piombo fuso, che ebbe come teatro la Striscia di Gaza dal 27 dicembre 2008 al 18 gennaio 2009, le forze armate israeliane commisero crimini contro i diritti umani e il diritto umanitario. Anche i gruppi combattenti palestinesi, dice il rapporto, con il loro lancio indiscriminato di razzi e il cannoneggiamento con mortai sulla popolazione civile del sud di Israele, sono colpevoli di analoghi crimini.

La Missione di indagine che ha partorito il documento fu istituita il 3 aprile 2009 dalla presidenza del Consiglio per i diritti umani con il compito di «investigare tutte le violazioni alle leggi internazionali sui diritti umani e al diritto umanitario che potrebbero essere state commesse nel contesto delle operazioni militari condotte a Gaza nel periodo dal 27 dicembre 2008 al 18 gennaio 2009, sia prima, sia durante, sia dopo». Titolari della Missione quattro membri: il presidente Richard Goldstone, giudice emerito della Corte costituzionale del Sud Africa e già procuratore presso i tribunali penali internazionali per il Ruanda e per l’ex Jugoslavia; Christine Chinkin, inglese, professore di diritto internazionale alla London School of Economics and Political Science; Hina Jilani, pakistana, avvocato presso la Corte suprema del Pakistan e già membro, nel 2004, della commissione internazionale d’inchiesta sul Darfur; il colonnello (in congedo) Desmond Travers, irlandese, membro del consiglio d’amministrazione dell’Istituto per le investigazioni criminali internazionali (Iici).

Da maggio a fine luglio, prima di accingersi alla stesura del rapporto, i quattro hanno preso in esame 36 episodi specifici e condotto a termine 188 colloqui individuali e due udienze pubbliche – una a Gaza e una Ginevra – dedicate all’ascolto di 38 testimoni. Hanno altresì letto oltre 300 rapporti, segnalazioni e documenti frutto delle proprie attività di indagine o elaborati da altri. Il tutto assomma a oltre 10 mila pagine di testo, più di 30 video e 1.200 fotografie, tra cui anche scatti effettuati dai satelliti a disposizione delle Nazioni Unite.

«La nostra – ha spiegato alla stampa il giudice Goldstone il 15 settembre – era una missione di indagine, conoscitiva, e non comporta risvolti giudiziari. Abbiamo cercato fatti provati. Abbiamo valutato e soppesato le testimonianze dirette che ci sono state rese e ciò che abbiamo visto a Gaza con i nostri occhi. Ogni capitolo del rapporto comincia con ciò che noi abbiamo verificato personalmente. I rapporti forniti da governi e organismi internazionali li abbiamo utilizzati non come documentazione di prima mano, ma come supporto alle risultanze delle nostre indagini».

Analizzati i fatti, spiega Goldstone, «la Missione è giunta alla conclusione che azioni che possono essere considerate crimini di guerra e per certi aspetti anche crimini contro l’umanità sono state commesse dalle forze armate israeliane».

Spiegando che i fatti presi in esame non sono imputabili a errori di valutazione commessi da commando israeliani nell’infuriare della battaglia, ma che obbediscono a una strategia deliberatamente adottata e applicata, il magistrato sudafricano puntualizza che la Missione Onu ha «scelto di investigare azioni che sono parse sproporzionate o deliberate».

Ma diamo un’occhiata ai contenuti del rapporto, o almeno alla sintesi offerta nell’Executive Summary, anche se ciò richiederà un certo impegno. Va ammesso anzitutto che in massima parte il documento prende in esame le azioni delle forze armate israeliane, più che quelle dei gruppi armati palestinesi o di Hamas.

Anzitutto il rapporto ricostruisce il teatro dell’operazione denominata in codice «Piombo fuso» e durata dal 27 dicembre 2008 al 18 gennaio 2009: Israele ha fatto ricorso a Marina, Aviazione ed Esercito. Due le fasi principali: prima una settimana di bombardamento aereo (fino al 3 gennaio), poi l’ingresso nella Striscia delle truppe di terra assistite dall’Aviazione. Per tutto il periodo la Marina ha cannoneggiato la costa.

Le cifre sui morti palestinesi – annota il rapporto – variano a seconda delle fonti: in base a ricerche svolte sul campo varie organizzazioni non governative stimano i morti tra i 1.387 e i 1.417. Secondo le autorità di Gaza sarebbero 1.444. Le autorità israeliane ne calcolano 1.166. Per il governo di Israele durante le operazioni militari sono morti 4 israeliani – 3 civili e un soldato – nel sud del Paese, uccisi da razzi e colpi di mortaio; 9 invece i militari morti nella Striscia nel corso dell’operazione Piombo fuso, 4 dei quali caduti sotto il «fuoco amico». (cfr. rapporto n. 30s.)

Responsabilità israeliane
Per quanto riguarda gli attacchi agli edifici la Missione ha esaminato, ad esempio, il caso degli attacchi aerei contro la sede del Consiglio legislativo palestinese e contro il carcere centrale di Gaza. Entrambi sono stati danneggiati al punto da essere messi fuori uso. Secondo le dichiarazioni rilasciate dai rappresentanti del governo e delle forze armate israeliani le istituzioni amministrative e politiche sono da considerare parte della «infrastruttura terroristica di Hamas». «La Missione rigetta questa posizione» perché non vi è prova che i due edifici avessero dato qualche contributo all’azione militare. (cfr. n. 32)

Anche l’attacco a sei caserme della polizia avvenuto all’inizio dell’offensiva militare, con 108 morti di cui 99 agenti, viene preso in considerazione dal rapporto che lo considera una violazione alle normative internazionali di carattere umanitario, perché anche ammesso che alcuni degli agenti militassero nelle file di Hamas l’attacco è stato sproporzionato (rapporto vantaggio militare e perdita di vite di civili). In generale i poliziotti non potevano essere considerati come forze combattenti. (cfr. n. 33s.)

Nel corso delle operazioni di dicembre-gennaio Israele spiegò al mondo di aver messo in atto tutta una serie di procedure per avvertire i civili palestinesi di Gaza degli imminenti bombardamenti così da consentire loro di allontanarsi dai bersagli verso aree sicure. Ecco cosa rileva in proposito il rapporto Onu: «La Missione riconosce i significativi sforzi fatti da Israele per lanciare avvertimenti tramite chiamate telefoniche, volantini e comunicati radiofonici. Ammette che in alcuni casi, soprattutto quando gli avvertimenti erano specifici, hanno incoraggiato i residenti a evacuare un’area e a mettersi al sicuro. Tuttavia la Missione annota anche fattori che hanno compromesso in modo significativo l’efficacia di quegli avvertimenti. Ciò include la mancanza di specificità, e quindi di credibilità, di molti volantini e messaggi telefonici pre-registrati. La credibilità delle istruzioni che invitavano a concentrarsi nel centro delle città per la propria sicurezza è stata minata dal fatto che anche i quartieri centrali sono stati intensamente bombardati durante la fase aerea delle operazioni militari. La Missione ha esaminato anche la pratica di sganciare sui tetti cariche esplosive a bassa intensità (il cosiddetto «bussare sul tetto»). La conclusione è che quella tecnica non è efficace come avvertimento e rappresenta una forma di attacco ai civili che dimorano in un edificio. Infine, la Missione sottolinea che l’aver lanciato degli avvertimenti non esenta un comandante e i suoi subordinati dall’obbligo di adottare le misure possibili per distinguere tra civili e combattenti». (n. 37)

La Missione Onu ha anche raggiunto la convinzione che le truppe di terra israeliane, nella loro avanzata, avessero ricevuto istruzioni che non limitavano al livello più basso possibile il ricorso alle armi contro i civili palestinesi.

Sulla base dei fatti riscontrati, secondo la Missione «la condotta delle forze armate israeliane comporta infrazioni gravi alla Quarta convenzione di Ginevra per quanto concerne gli omicidi premeditati e la volontà di causare grandi sofferenze a persone protette. Ciò dà origine a responsabilità criminali individuali. (La Missione) è anche dell’avviso che il prendere di mira e l’uccidere arbitrariamente civili palestinesi violi il diritto alla vita». (n. 46)

La Missione Onu ha indagato su quattro casi nei quali le forze israeliane hanno costretto, armi in pugno, dei civili palestinesi a prender parte alle perquisizioni delle case. «Gli uomini palestinesi, ammanettati e bendati, furono costretti a entrare nelle case prima dei soldati israeliani. In uno dei casi, le truppe israeliane hanno ripetutamente costretto un uomo a entrare in una casa in cui si nascondevano combattenti palestinesi. Testimonianze rese pubbliche di soldati israeliani che hanno preso parte alle operazioni militari confermano il persistente uso di questa pratica, nonostante un chiaro ordine dell’Alta Corte di Israele alle forze armate di porvi fine e alla ripetute assicurazioni pubbliche da parte delle forze armate che la pratica era stata abbandonata». La Missione Onu osserva che l’impiego di civili come scudi umani è un crimine di guerra e una pratica proibita dalle norme internazionali umanitarie. (cfr. n. 55)

Il Rapporto riferisce anche di detenzione di civili, tra i quali donne e bambini, in condizioni degradanti, con privazione di cibo e acqua, l’esposizione alle intemperie, e l’impedimento ad accedere ai servizi igienici. (cfr. n. 57). Nell’area di Al Atatra (nord-ovest della Striscia) le truppe israeliane hanno scavato buche nella sabbia dove hanno ammassato uomini, donne e bambini prigionieri. In altre buche lì accanto erano posizionati i pezzi di artiglieria israeliani che facevano fuoco. (cfr. n. 58)

Veniamo al tipo di armamenti impiegati durante l’Operazione Piombo fuso. Il Rapporto cita innanzitutto le armi al fosforo e le flechette. Le prime sono ordigni contenenti fosforo bianco che dopo l’esplosione dell’involucro continua a bruciare reagendo con l’ossigeno. Il che significa che se del fosforo entra a contatto con la pelle genera ustioni gravissime. Le flechette sono invece bombe che all’esplosione disperdono in un’area circoscritta dardi metallici minuscoli ma micidiali per le ferite che provocano. Scrive la Missione Onu: «In base alle investigazioni condotte sugli episodi durante i quali si è fatto ricorso ad armi come gli esplosivi al fosforo e i missili flechette, la Missione, pur riconoscendo che allo stato attuale l’impiego del fosforo bianco non è proibito dalla legislazione internazionale, ritiene che le forze armate israeliane siano state sistematicamente sconsiderate nel decidere di impiegarlo in aree abitate. La Missione ritiene che bisognerebbe prendere in seria considerazione la messa al bando dell’uso (di ordigni al) fosforo bianco nelle aree edificate. Per quanto riguarda le flechette, la Missione annota che sono un tipo d’arma incapace di discriminare tra diversi tipi d’obiettivo dopo che sono esplose. Perciò sono particolarmente inadatte ad essere impiegate in aree urbane dove si ha ragione di credere che siano presenti dei civili». (n. 48)

Il testo prosegue poi: «Benché la Missione non sia in grado di accertare che il cosiddetto esplosivo a metallo denso inerte (DIME) sia stato impiegato dalle forze armate israeliane, essa ha ricevuto rapporti di medici palestinesi e stranieri che hanno lavorato a Gaza durante le operazioni militari in cui si riferisce di un’alta percentuale di pazienti con ferite compatibili con l’impatto di quegli ordigni. Le armi DIME e le armi confezionate con metalli pesanti non sono proibite dalla legge internazionale attualmente vigente ma suscitano grandi preoccupazioni di carattere sanitario. In ultimo, la Missione ha ricevuto denunce secondo le quali le forze israeliane a Gaza avrebbero utilizzato uranio impoverito e non impoverito. Tali accuse non sono state fatte oggetto di ulteriore indagine da parte della Missione». (n. 49)

C’è un altro aspetto particolarmente spiacevole. Il rapporto della Missione Onu cita vari episodi in cui gli israeliani hanno deliberatamente attaccato e distrutto infrastrutture industriali, aziende dedite alla produzione alimentare, acquedotti, impianti per il trattamento dei reflui e abitazioni. (cfr. n 50)

Il 9 gennaio, ad esempio, fu distrutto con una serie di bombardamenti aerei il mulino di Al Bader, unico impianto di tutta la Striscia di Gaza adibito alla produzione di farina. «La Missione ritiene che la sua distruzione non avesse alcuna giustificazione militare». Anzi, in violazione della Quarta convenzione di Ginevra, vi si ravvisa un possibile crimine di guerra mirato a negare il sostentamento della popolazione civile.

Altro caso: un allevamento di polli nei dintorni di Zeitoun, che forniva il 10 per cento delle uova in commercio nella Striscia. I bulldozer corazzati israeliani hanno sistematicamente distrutto tutte le stie e ucciso i 31 mila volatili che vi erano rinchiusi (cfr. n. 51). Anche qui la Missione non ravvisa alcuna ragione militare nell’azione. Altro episodio menzionato è quello dell’impianto di depurazione delle acque reflue. L’impianto è stato bombardato deliberatamente e in modo premeditato, causando la dispersione di oltre 200 mila metri cubi di reflui nei terreni agricoli circostanti. (cfr. n. 52)

Veniamo al tema abitazioni: molte case sono state distrutte durante l’avanzata delle truppe di terra per esigenze belliche, ma, dice la Missione Onu, le forze armate israeliane si sono anche dedicate a una «sistematica distruzione di edifici civili durante gli ultimi tre giorni della loro permanenza a Gaza, ben consapevoli dell’imminenza del ritiro». (n. 52)

A questo punto il Rapporto introduce alcune osservazioni di carattere generale: «Prendendo in considerazione la capacità di pianificazione, i mezzi impiegati per attuare i piani con le più avanzate tecnologie disponibili e le dichiarazioni rilasciate dai militari israeliani secondo cui non ci sono praticamente stati errori, la Missione ritiene che il campione di episodi considerati nel rapporto siano la risultanza di una deliberata pianificazione e di decisioni politiche». (cfr. n. 61)

Prosegue il testo: «Le tattiche impiegate dalle forze armate israeliane nell’offensiva di Gaza sono coerenti con la prassi precedente, adottata anche di recente nella guerra del Libano del 2006. Emerse allora un concetto noto come dottrina Dahiya, che prevede l’uso sproporzionato della forza e l’infliggere gravi danni e distruzioni alle proprietà e infrastrutture civili e sofferenze alla popolazione civile». (cfr. n. 62)

Durante l’Operazione Piombo fuso Israele dichiarò di puntare ad indebolire Hamas per impedirgli di nuocere anche in futuro. La Missione Onu annota: «Nella formulazione degli obiettivi militari israeliani riguardo alle operazioni di Gaza, il concetto di "infrastrutture d’appoggio" di Hamas è particolarmente preoccupante perché autorizza a considerare bersagli legittimi delle strutture civili». (n. 63)

Capitolo aiuti umanitari: il rapporto riconosce che durante le operazioni militari di dicembre-gennaio il flusso di materiale umanitario, di cibo soprattutto, attraverso i valichi controllati dagli israeliani venne temporaneamente aumentato. Tuttavia in modo insufficiente a coprire il fabbisogno della popolazione e in ogni caso tale flusso è nuovamente diminuito al termine delle ostilità. (cfr. n. 72)

Responsabilità palestinesi
Uno sguardo ora alle responsabilità per parte palestinese. Ecco i punti salienti contenuti nel Rapporto: «La Missione ha esaminato se e in che misura i gruppi armati palestinesi abbiano violato i loro obblighi di aver cura di, ed adottare praticabili misure per, proteggere la popolazione civile di Gaza dai pericoli derivanti dalle operazioni militari (cap. VIII). La Missione si è trovata di fronte a una certa riluttanza da parte delle persone intervistate nel discutere le attività dei gruppi armati. Sulla base delle informazioni raccolte, la Missione ha appurato che gruppi armati palestinesi erano presenti nelle aree urbane durante le operazioni militari e che furono lanciati razzi dalle aree urbane. Può essere che i combattenti palestinesi non si siano sempre differenziati rispetto alla popolazione civile. La Missione non ha però trovato prove che suggeriscano che i gruppi armati palestinesi abbiano deliberatamente concentrato i civili in aree sotto attacco o che abbiano costretto i civili a rimanere nelle immediate vicinanze degli attacchi». (n. 35)

«Benché nei casi indagati dalla Missione non si sia accertato che le moschee sono state usate per scopi militari o per far scudo ad attività militari, non si può escludere che ciò possa essere accaduto in altri casi. La Missione non ha trovato alcuna prova a sostegno dell’accusa che le strutture ospedaliere siano state usate dalle autorità di Gaza o dai gruppi armati palestinesi per far da scudo ad attività militari e che le ambulanze siano state impiegate per il trasporto di combattenti o per altri scopi militari. Sulla base delle proprie indagini e delle dichiarazioni rese da funzionari Onu la Missione esclude che i gruppi armati palestinesi abbiamo ingaggiato combattimenti dalle strutture dell’Onu usate come rifugio durante le operazioni militari. La Missione non può tuttavia escludere la possibilità che i gruppi armati palestinesi siano stati attivi in prossimità degli edifici Onu e degli ospedali. Mentre la condotta di ostilità in aree edificate non costituisce, di per sé, una violazione del diritto internazionale, i gruppi armati palestinesi, quando avessero lanciato attacchi in prossimità della popolazione civile o di edifici protetti, avrebbero senza necessità esposto al pericolo la popolazione civile di Gaza». (n. 36)

Sugli attacchi con razzi e artiglieria leggera ad alcune località del sud di Israele il Rapporto riferisce: «I gruppi armati palestinesi hanno lanciato circa 8 mila razzi o colpi di mortaio sul sud di Israele dal 2001 ad oggi (capitolo XIII). Mentre comunità come Sderot e il Kibbutz Nir-Am sono stati entro il raggio d’azione di razzi e mortai sin dall’inizio, la gittata dei razzi nel corso delle operazioni militari a Gaza è arrivata a 40 chilometri dal confine di Gaza, così da raggiungere città più a nord come Ashdod. Dal 18 giugno 2008 i razzi lanciati dai gruppi armati palestinesi hanno ucciso 3 civili su suolo israeliano e 2 civili a Gaza, quando, il 26 dicembre 2008, un razzo andò corto e cadde entro il confine della Striscia. A quanto viene riferito oltre 1.000 civili in Israele sono stati feriti dal lancio di razzi e dai colpi di mortaio, 918 dei quali durante le operazioni militari israeliane a Gaza». (n. 103)

«La Missione ha preso particolare nota dell’altro livello di trauma psicologico sofferto dalla popolazione civile in Israele. Dati raccolti da un’organizzazione israeliana nell’ottobre 2007 hanno rilevato che il 28,4 per cento degli adulti e il 72-94 per cento dei bambini di Sderot soffriva di disordine da stress post traumatico. 1.596 persone sarebbero state trattate per ferite legate a stress durante le operazioni militari a Gaza, mentre oltre 500 persone sono state trattate dopo la fine delle operazioni». (n. 105)

«La Missione ha determinato che i razzi, e in misura minore, i colpi di mortaio sparati dai gruppi armati palestinesi non possono essere diretti su specifici obiettivi militari e sono stati puntati su aree in cui vivono le popolazioni civili. La Missione ha inoltre concluso che simili attacchi rappresentano attacchi indiscriminati alla popolazione di Israele meridionale e che laddove non c’è alcun bersaglio militare, ma i razzi e i mortai prendono di mira una popolazione civile, essi costituiscono un attacco deliberato contro la popolazione. Simili azioni sono crimini di guerra e possono assommare a crimini contro l’umanità». (n. 108)

«La Missione osserva che il numero di perdite relativamente basso registrato tra i civili su suolo israeliano si deve in gran parte alle precauzioni messe in atto da Israele. Esse comprendono un sistema di preallarme e la costruzione di rifugi e fortificazioni nelle scuole ed altri edifici pubblici con grande impiego di risorse finanziarie – stanziamenti previsti per 460 milioni di dollari tra il 2005 e il 2011 – da parte del governo israeliano. La Missione esprime grande preoccupazione, però, per la mancanza di un sistema di allerta e di rifugi pubblici e fortificazioni a disposizione delle comunità di palestinesi con cittadinanza israeliana che vivono in gruppi non riconosciuti ma anche in villaggi ufficialmente riconosciuti entro il raggio di gittata dei razzi e dei mortai dei gruppi armati palestinesi di Gaza». (n. 110)

Il Rapporto Onu considera molte altre questioni più o meno direttamente connesse all’Operazione Piombo fuso. Ne citiamo alcune: il rapimento del caporale israeliano Gilad Shalit; il blocco dell’accesso di stampa e organismi umanitari a Gaza durante le operazioni militari; la repressione del dissenso contro la guerra sia in Cisgiordania che in Israele; l’embargo anti-Hamas imposto alla Striscia di Gaza da Israele; gli arresti, torture, uccisioni, repressioni e licenziamenti di sostenitori di Hamas in Cisgiordania e di Fatah a Gaza. Impossibile qui entrare nel merito.

Considerazioni finali
Prima di presentare una serie di Raccomandazioni – agli organi delle Nazioni Unite, a Israele, alle autorità di Gaza, all’Autorità Nazionale Palestinese e alla comunità internazionale – la Missione osserva che «ci sono seri dubbi circa la volontà di Israele di portare a termine autentiche indagini in modo imparziale, indipendente, rapido ed efficace, come richiesto dalla lesgislazione internazionale. La Missione ritiene anche che in generale il sistema israeliano presenti intrinsecamente caratteristiche discriminatorie che rendono molto difficile la ricerca della giustizia per le vittime palestinesi». (n. 122)

D’altro canto «la Missione non ha trovato alcuna prova che vi sia un sistema di controllo pubblico o di assunzione di responsabilità per le serie violazioni delle norme umanitarie internazionali e delle leggi sui diritti umani da parte delle autorità di Gaza. La Missione esprime preoccupazione per il persistente disprezzo per le norme umanitarie internazionali da parte dei gruppi armati che nella Striscia di Gaza conducono le loro attività armate, con il lancio di razzi e i colpi di mortaio diretti contro Israele. Nonostante alcune notizie di stampa, la Missione resta scettica sul fatto che qualunque autentica ed efficace iniziativa sia stata presa dalle autorità per affrontare le questioni della violazione della legge umanitaria internazionale rappresentate dalle azioni dei gruppi militanti nella Striscia di Gaza. (n. 123)

Quanto alle Raccomandazioni, senza scendere troppo nei dettagli, riprendiamo la sintesi che ne ha offerto il giudice Goldstone al termine della conferenza stampa del 15 settembre a New York: «Abbiamo dibattuto a lungo. Una possibilità era di rivolgere una raccomandazione al Consiglio di sicurezza Onu perché, con riferimento al lancio di razzi e colpi di mortaio e ai crimini di guerra commessi dalle forze armate israeliane, si rivolgesse alla Corte penale internazionale. (…) Abbiamo invece concluso di dare pieno riconoscimento al principio di complementarietà, ampiamente condiviso, che dà la precedenza alle indagini interne. Solo quando le iniziative interne non sono possibili, la Corte penale internazionale può intervenire. Benché siamo critici sia verso le autorità di Israele sia verso quelle di Gaza per aver fatto troppo poco a riguardo, siamo anche convinti che vi sia la capacità, se non la volontà, almeno da parte di Israele di condurre inchieste trasparenti, aperte e all’altezza dei requisiti internazionali. Anche a Gaza ci sono autorità e un sistema giudiziario in grado di agire in modo appropriato se c’è la volontà politica di farlo. Abbiamo concluso di raccomandare al Consiglio di sicurezza di chiedere a Israele di presentare un rapporto adeguato entro 6 mesi e di istituire un comitato di esperti che supervisioni lo sviluppo delle indagini. Abbiamo raccomandato che un gruppo di esperti supervisioni le indagini della autorità di Gaza. Se entro 6 mesi non vi fossero rapporti soddisfacenti, il Consiglio di Sicurezza dovrebbe deferire una o entrambe le situazioni alla procura della Corte penale internazionale, in assenza di investigazioni in buona fede».

«Siamo preoccupati – ha concluso Goldstone – per il ricorso che Israele ha fatto ad alcune munizioni, specialmente il fosforo bianco, le flechette, e altre munizioni metalliche. Il loro uso non è bandito dalle norme internazionali, questo è chiaro. Siamo preoccupati per i danni gravi prodotti sulle persone da alcune di queste munizioni, soprattutto le bombe al fosforo. Racomandiamo che l’Assemblea generale della Nazioni Unite promuova un urgente dibattito sull’uso di queste armi in generale e in qualunque guerra in qualunque parte del mondo. L’impiego di questi ordigni ha causato sofferenze inaccettabili e non necessarie. Vogliamo porre anche l’accento sui danni ambientali, che non sono ancora noti. Danni che interessano non solo Gaza, ma probabilmente anche il sud di Israele. Raccomandiamo alle Nazioni Unite di monitorare la situazione per determinare i danni che potrebbero emergere nell’ambiente e sulle vittime esposte a queste armi onde  scongiurare che ciò si ripeta in futuro».

(Per saperne di più, in lingua inglese, sui lavori della Missione d’indagine Onu sul conflitto di Gaza, clicca qui)

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