Cristo è la Parola
La Proposizione n. 7 del Sinodo dei vescovi su «La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa» (Roma, 5-26 ottobre 2008) sottolinea l’unità tra la mensa della Parola di Dio e dell’Eucaristia: «È importante considerare la profonda unità tra la Parola di Dio e l’Eucaristia (Dei Verbum 21), come viene espressa da alcuni testi particolari quali Gv 6, 35-58; Lc 24, 13-35, in modo tale da superare la dicotomia tra le due realtà, che spesso è presente nella riflessione teologica e nella pastorale. In questo modo diventerà più evidente il legame con il Sinodo precedente sull’Eucaristia. La Parola di Dio si fa carne sacramentale nell’evento eucaristico e porta al suo compimento la Sacra Scrittura. L’Eucaristia è un principio ermeneutico della Sacra Scrittura, così come la Sacra Scrittura illumina e spiega il mistero eucaristico. In questo senso i Padri sinodali si augurano che possa essere promossa una riflessione teologica sulla sacramentalità della Parola di Dio. Senza il riconoscimento della presenza reale del Signore nell’Eucaristia, l’intelligenza della Scrittura rimane incompiuta».
L’unità fra Parola ed Eucaristia è radicata nella testimonianza scritturistica ed è nota ai Padri della Chiesa. La testimonianza di san Francesco d’Assisi, vir catholicus, merita per questo di essere approfondita. Per l’Assisiate la Scrittura, che è molto più ricca che la lettera del testo, ha una dimensione sacramentale. Essa rappresenta il messaggio che il Padre trasmette attraverso il suo Figlio a tutti quelli che si aprono allo spirito di Dio.
Ogni volta che Francesco parla del corpo e sangue di Cristo, menziona anche le sue parole: «In questo mondo non abbiamo niente di visibile (corporaliter) o di sensibile dell’Altissimo se no il suo corpo e suo sangue, i suoi nomi e le sue parole, dalle quali siamo stati creati e redenti dalla morte alla vita» (Let 2,3).
L’avverbio corporaliter si riferisce non solo al corpo e al sangue di Cristo, ma anche alla sue parole. La Scrittura è dunque un segno corporale del Figlio di Dio. Essa è un sacramento dell’incontro del figlio di Dio con l’uomo.
È volontariamente che Francesco avvicina l’Eucaristia alla Scrittura. Egli adopera il verbo administrare sia per l’Eucaristia (Am 26,3; Let 1,3) che per la predicazione delle sante parole (Let 1,2; Let 1,34). Cita similmente la frase evangelica: «Sono con voi sino alla fine del mondo» per parlare dell’Eucaristia (Am 1,23) e della Scrittura (1 Reg 22,35). Infine adopera il verbo conculcare a proposito della mancanza di rispetto per l’Eucaristia (Let 3,19) e per la Scrittura (Let 2,6)
Nel Medioevo alcuni teologi consideravano la predicazione della Scrittura come l’amministrazione dei sacramenti, che richiedeva da parte del ministro una preparazione e una purità di intenti. Francesco vede il problema dal punto di vista di Dio. Nella predicazione e nei sacramenti, al di là delle parole e dei segni, Cristo dialoga con l’uomo.
L’identificazione della Scrittura con la persona di Cristo traspare nella risposta che il Santo dà a frate Bernardo, al quale aveva consigliato di vendere i suoi beni e di dare tutto ai poveri: «Per mettere le mie parole alla prova dei fatti, entreremo nella Chiesa, prenderemo il libro dei Vangeli e chiederemo consiglio a Cristo» (2 Celano 15). Per Francesco agire in questo modo significa affermare che la Scrittura non è altro che la presenza sacramentale di Cristo nella sua Chiesa.
Se la Scrittura è presenza di Cristo, solo un approccio orante alla Scrittura è valido. Nella preghiera l’esegesi diventa autentica. Cristo è il primo esegeta che spiega la Scrittura. Anzi, Cristo è la parola del Padre. Francesco lo afferma nella Lettera 1,3-4: «Mi sono proposto di mandarvi questa lettera per riportarvi le parole di Nostro Signore Gesù Cristo che è la parola di Dio. Questa parola del Padre santa e gloriosa è venuta dal cielo». Questo tema della teologia giovannea Francesco lo sviluppa: Cristo è esegeta nella sua missione: nella sua obbedienza alla volontà del Padre realizza la Scrittura e porta a compimento le ombre e le immagini della scrittura. Solo chi non ubbidisce vede nella Scrittura la lettera che uccide.
Cristo è la parola abbreviata del Padre. Il tema del Verbum abbreviatum che Francesco riprende nella seconda Regola al capitolo 5, riprende un tema patristico che ha radici anche nella letteratura rabbinica. L’Antico Testamento, che è la parola lunga di Dio, viene accorciato nel Nuovo Testamento. Di più, Cristo si manifesta sotto la forma di un bambino nella stalla di Betlemme (Let 1,4-5). Questa parola del Padre diventa cibo nell’Eucaristia che riproduce sull’altare la nascita di Cristo.
Verbum abbreviatum, Cristo è anche Verbum abbrevians: l’essenza del suo messaggio viene riassunta nell’unico comandamento dell’amore. Tutta la legge consiste nell’amore (Let 1,18; Am 9. 25). Mentre il linguaggio umano si chiarisce moltiplicandosi, la parola di Dio diventa sempre più chiara quando si semplifica e si riduce all’essenziale.
La parola di Dio per Francesco ha un carattere salvifico. Nella Lettera 1,34 il Santo scrive: «Nessuno può essere salvato se non per il sangue di Nostro Signore Gesù Cristo e per le sue parole che i chierici predicano e sono gli unici a distribuire». Accogliere Cristo nell’Eucaristia e nella Scrittura significa essere salvato da lui (Let 1,15). Le parole di Dio sono la causa della nostra creazione e della nostra ri-creazione. Possono salvare perché sono Spirito e Vita (1 Reg 22,36; Let 1,3; Am 7). I predicatori ci trasmettono lo Spirito e la Vita (Test 13). Quindi devono conformare la loro vita alle parole che proclamano.
Francesco chiama le parole di Cristo parole profumate che bisogna accogliere con umiltà la carità (Let 1,86). Chi non le accoglie per quello che sono sarà giudicato da esse; chi le riceve con fede sarà benedetto (Let 1,86-88).
Il testo della Scrittura celebrato nell’Eucaristia deve essere attualizzato nella vita di ogni giorno. Più che la storia del testo conta la storia della salvezza. Francesco quando ripensa alle tappe della salvezza ricorda questi titoli di Gesù: «È il nostro creatore, il nostro redentore e il nostro salvatore» (1 Reg 23,25-27). Le due prime tappe appartengono al passato, la salvezza definitiva deve venire ancora. Nell’ufficio della Passione (1 schema, nona 15) il Santo scrive: «Benedetto il Signore Dio di Israele perché ha redento le anime dei suoi servi con il suo sangue santissimo. Quelli che sperano in lui non saranno delusi. Sappiamo che viene, verrà per rendere giustizia».
Francesco cita in questo testo il Salmo 95: «Venit Dominus judicare terram». Il verbo al passato (venit) Francesco lo ha trasformato in futuro, perché per lui il Salvatore deve venire per il giudizio finale. L’esegesi di Francesco mantiene un carattere escatologico perché aspetta la venuta del giudice. Origene affermava che il credente mangia la carne di Gesù e beve il suo sangue quando studia le sue parole. Anche Francesco riprende questo pensiero.
L’accresciuta consapevolezza della presenza di Cristo nella Parola favorisce sia la preparazione immediata alla celebrazione eucaristica sia l’unione con il Signore nelle celebrazioni della Parola. E il merito del Sinodo di averlo ricordato nella grande tradizione della Chiesa nella quale anche san Francesco ha il suo posto.