Nella primavera del 2010 la Sindone di Torino verrà esposta al pubblico ancora una volta, generando così una nuova ondata di interesse verso l'enigmatico lino. La storica Barbara Frale si presenta all'appuntamento con questo I Templari e la sindone di Cristo, a cui farà presto seguito un secondo volume. Il saggio della Frale riepiloga con maestria gli studi storici più autorevoli in materia, grazie a una narrazione avvincente che si concentra sulla relazione tra il sudario e l'Ordine del Tempio che lo custodì, in grande segretezza, per quasi un secolo.
Dal 10 aprile al 23 maggio 2010 a Torino è in programma una nuova ostensione della Sindone (le più recenti risalgono al 2000, 1998 e 1978). Il sudario di lino con impressa l’impronta lasciata dal cadavere di un uomo massacrato e crocifisso resta ancora un enigma denso di fascino. La sua muta testimonianza rimanda i cristiani al racconto evangelico del martirio di Gesù Cristo e rammenta loro che il risorto che adorano subì la tortura e il più abissale disprezzo.
È prevedibile che con l’approssimarsi dell’appuntamento di primavera – a cui non mancherà Papa Benedetto XVI – si moltiplicheranno le pubblicazioni, i servizi televisivi e le pagine elettroniche dedicate al lenzuolo funebre donato alla Santa Sede da Casa Savoia nel 1983 e conservato nel duomo del capoluogo piemontese sotto la custodia del suo arcivescovo.
Barbara Frale si muove per tempo con il suo I Templari e la sindone di Cristo, edito da Il Mulino, testo che l’autrice annuncia come la prima parte di un dittico destinato a completarsi presto con il volume La sindone di Gesù Nazareno.
La Frale è specializzata in paleografia, diplomatica e archivistica e lavora presso l’Archivio segreto vaticano. Nel marzo 2000 ha conseguito il dottorato di ricerca in Storia con una tesi sul processo ai Templari e ciò ne fa un’autorevole conoscitrice del tema che affronta in questo libro.
Proprio dalle carte del processo architettato all’inizio del XIV secolo contro i Templari per volere del sovrano francese Filippo il Bello – procedimento giudiziario alquanto complesso e già analizzato a fondo, soprattutto nell’ultimo secolo, da autorevoli storici europei – prende le mosse la storica viterbese per spiegarci i legami tra l’Ordine cavalleresco del Tempio e la sindone.
Il saggio della Frale riepiloga con maestria gli studi storici più autorevoli riproponendoli al lettore con una narrazione avvincente, che schiude finestre illuminanti sui vari temi che intersecano il percorso principale (basti citare la questione delle sètte ereticali che rifiutavano l’umanità di Gesù Cristo, o il ruolo delle icone e delle reliquie nella vita della Chiesa).
L’Autrice riabilita l’onore dei Templari, infangato dal processo che determinò lo scioglimento dell’Ordine e che si basò su un castello di confessioni estorte sotto tortura e di accuse in gran parte artefatte (eresia, abiura della fede cristiana in favore dell’islam, sodomia, adorazione di un misterioso idolo). Venendo poi al tema principale la Frale sposa la tesi enunciata già nel 1978 dallo storico Ian Wilson, secondo cui la Sindone giunse nelle mani dei Templari dopo il sacco di Costantinopoli da parte dei crociati latini che nel 1204 spogliarono la capitale dell’Impero d’Oriente delle sue ricchezze e del suo ingente patrimonio di reliquie.
Dunque il prezioso lino, su cui le tracce di sangue e le impronte del giustiziato all’epoca erano molto più nitide di quanto lo siano oggi, rimase nelle mani dei cavalieri per quasi un secolo ma in modo tanto segreto che solo una ristrettissima cerchia dei massimi responsabili dell’Ordine ebbe il privilegio di visionare la reliquia in tutta la sua estensione.
Sorge spontanea una domanda che la Frale stessa si pone: «I Templari non esposero mai la sindone ai fedeli e non ne ottennero elemosine; non la usarono per lucrare indulgenze, ma anzi la nascosero alla gran parte dei loro stessi confratelli. Ma allora perché vollero tenere questo strano oggetto?» (p. 193).
Almeno due le spiegazioni offerte dal volume: anzitutto una reliquia come la sindone, ritenuta senza troppe esitazioni l’autentico lenzuolo funebre del Messia, testimoniava come questi, prima di risorgere, avesse attraversato con tutta la sua umanità (e fisicità) il supplizio della morte in croce. Tanto bastava a sbaragliare ogni dubbio ereticale.
In secondo luogo, il telo assumeva quasi una funzione vicaria rispetto al Santo Sepolcro, perduto nel 1187 insieme alla città di Gerusalemme, con la sconfitta inflitta ai crociati dalle truppe musulmane del Saladino.
«Lo storico moderno – scrive la studiosa laziale – è abituato a guardare la sindone con occhio scientifico, cioè alla luce delle innumerevoli analisi chimico-fisiche che sono state svolte su di essa in maniera praricamente incessante sin dagli inizi del Novecento; ma è necessario fare come un lungo passo indietro e provare a capire come la vedevano gli uomini del medioevo. Dallo squarcio del costato, proprio lì dove secondo il vangelo di Giovanni era stato inferto a Gesù il colpo di lancia, apparivano i segni di una grande emorragia. Il sangue era colato lungo il fianco impregnando la tela per tutta la larghezza del torace, da parte a parte. Rosso profondo sul bianco avorio del lino, questo segno salta immediatamente all’occhio, vistoso, impressionante. Su chi era abituato ad ascoltare spesso la Passione di Cristo, come succedeva ai Templari, la cintura di zangue doveva avere una suggestione indicibile. Fu proprio questa "cinta" rossa di sangue che suggerì ai Templari una speciale associazione d’idee con la cordicella che portavano indosso ogni giorno? Un tempo le loro cinture erano state consacrate toccando la pietra del Sepolcro, che aveva accolto il corpo di Gesù e visto la sua resurrezione. Anche la sindone secondo la tradizione aveva avvolto il corpo di Cristo e ne aveva "vissuto" il risorgere dalla morte, ma con qualcosa in più: sulla stoffa restava ancora un po’ del suo sangue. Per l’uomo del medioevo era qualcosa che non aveva prezzo: più tardi il teologo francescano Francesco della Rovere, futuro papa Sisto IV (1471-1484), nel suo trattato intitolato De corpore et sanguine Christi indicherà proprio la sindone di Torino come reliquia che contiene il vero sangue del Signore. Come già accennato, al tempo di san Bernardo la cintura dei Templari aveva un valore solo simbolico, rappresentava il voto di castità; poi nel corso del Duecento questo significato viene come dimenticato e sostituito da uno molto più alto, quasi teologico: la cintura viene consacrata tramite il contatto con reliquie e luoghi materiali che hanno visto la vita terrena di Gesù, essa dunque si impregna di uno speciale potere sacro e dà ai frati che la portano indosso un contratto materiale con la dimensione umana di Cristo. Sono convinta (come ho già detto) che le speciali liturgie notturne svolte dai Templari presso il Santo Sepolcro fossero veglie di preghiera durante le quali i dignitari consacravano per contatto le cordicelle che sarebbero poi state donate a tutti i futuri membri dell’ordine, garanzia di protezione contro i nemici del corpo e dell’anima (…) Entrando in contatto con quella pietra che aveva assistito alla resurrezione di Cristo, la cintura ne assorbiva in qualche modo il potere e probabilmente rappresentava essa stessa una garanzia di resurrezione per il Templare pronto a vivere e morire secondo lo spirito dell’ordine. Nel 1187 Gerusalemme fu perduta, e possiamo solo immaginare quale tremendo contraccolpo potè avere questo fatto sul morale dei Templari. Poi un giorno arriva quel telo incredibile, con l’impronta di un uomo letteralmente massacrato proprio come era stato di Gesù secondo i vangeli». (pp. 146s.)