Benché ci siano stati senza dubbio molti miglioramenti nelle relazioni tra cattolici e musulmani, il cardinal Jean-Louis Tauran ritiene che ci sia ancora molta strada da fare. Dovremmo arrivare, dice in un'ampia intervista rilasciataci il 14 luglio scorso, non solo a tollerarci reciprocamente ma anche ad amarci come fratelli. Il presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso tocca anche altri temi: il viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa, il discorso di Barack Obama al Cairo, e una visita lampo, alquanto discreta, del ministro degli Esteri saudita, il principe Saud al-Faisal, in Vaticano.
Benché ci siano stati senza dubbio molti miglioramenti nelle relazioni tra cattolici e musulmani, il cardinal Jean-Louis Tauran ritiene che ci sia ancora molta strada da fare. Dovremmo arrivare, dice in un’ampia intervista rilasciataci il 14 luglio scorso, non solo a tollerarci reciprocamente ma anche ad amarci come fratelli. Il presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso tocca anche altri temi: il viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa, il discorso di Barack Obama al Cairo, e una visita lampo, alquanto discreta, del ministro degli Esteri saudita, il principe Saud al-Faisal, in Vaticano.
Eminenza, recentemente lei ha partecipato al Forum internazionale per il dialogo di Jeddah. Quali sono stati gli esiti di quell’incontro.
Si trattava del quindicesimo incontro del Comitato di collegamento cattolico-musulmano, fondato nel 1995. Ha avuto luogo presso il Centro culturale islamico della moschea centrale di Londra il 10 e 11 luglio. L’intento di questo appuntamento era anzitutto di verificare a che punto siamo in questo dialogo. Avevamo due scopi: stabilire come sta andando e comprendere cosa possiamo fare in futuro, perché naturalmente dal 1995 molte cose sono cambiate ed ora abbiamo parecchi altri canali (di comunicazione) con le comunità islamiche. In concreto abbiamo toccato solo il primo punto e ne sono emerse alcune convinzioni. Abbiamo riflettuto, da un punto di vista religioso, su come costruire rispetto e fiducia reciproci; su come mettere in comune le prospettive religiose e le credenze come una luce che guida in concreto le vite degli uomini e donne del nostro tempo; infine abbiamo guardato a come la coscienza dei credenti può contribuire al bene comune della società, perché il dialogo interreligioso deve avere conseguenze concrete nella società in cui viviamo. Personalmente avrei voluto porre qualche domanda sui reali bisogni delle comunità musulmane e cristiane e su come poter affrontare insieme questo argomento, ma non è stato possibile. Mi sarebbe piaciuto chiedere: «Noi qui siamo impegnati a dialogare, ma come vedono questo dialogo i musulmani e i cristiani? Stiamo rispondendo ai loro desideri e speranze?». Non è stato possibile discuterne, ma il dialogo è stato molto cordiale.
Si è parlato di garantire piena libertà religiosa ai cristiani nei Paesi arabi?
Abbiamo accennato alla questione, ma non posso aggiungere altro.
Questi lavori hanno a che fare in qualche misura con l’iniziativa interreligiosa di re Abdullah d’Arabia avviata lo scorso anno per promuovere conferenze tra gli appartenenti alle tre fedi abramitiche?
Non ha nulla a che fare con quell’iniziativa. La struttura per il dialogo di cui stiamo parlando è stata stabilita nel 1995 dal Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso e da questo Comitato internazionale di dialogo con sede in Arabia Saudita. Direi che di maggiore interesse è stato l’incontro svoltosi l’1 e 2 luglio ad Astana, capitale del Kazakhstan, e voluto dal presidente kazako Nursultan Abishuly Nazarbayev. Il congresso internazionale per il dialogo interreligioso da lui promosso è ormai alla terza edizione. La prima si svolse nel 2003 e trattò dei valori universali delle religioni; la seconda, nel 2006, mise a tema il ruolo dei credenti in un mondo in crisi; nell’ultima, a inizio luglio, abbiamo riflettuto su: costruire un mondo di tolleranza. Sono intervenuti rappresentanti delle più diffuse religioni mondiali e di quelle tradizionali. Anche il presidente israeliano Shimon Peres era presente, con i due rabbini capo di Israele. È stato interessante perché abbiamo potuto sottolineare che la pace riposa sulle religioni, che le religioni sono messaggere di pace. Il principio che io personalmente ho cercato di trasmettere è che si parla di tolleranza, ma il dialogo interreligioso è molto più che tolleranza: non si tollera un fratello, lo si ama. Sono convinto che dobbiamo passare dal concetto di tolleranza – che è un requisito minimo – a quello di fratellanza. Occorre andare dalla tolleranza all’amore, e noi cristiani giochiamo un ruolo particolare su questo versante, in forza del messaggio evangelico.
Come è stato accolto il suo messaggio?
Molto bene. Il Kazakhstan è un Paese caratterizzato da un grande pluralismo religioso. Vi convivono 45 denominazioni religiose diverse e i cattolici rappresentano solo il 3 per cento della popolazione, che è in gran parte musulmana (89 per cento).
Ritiene dunque che andare oltre la semplice tolleranza sia il modo per raggiungere la pace?
Sì, perché il dialogo interreligioso presuppone che se hai un partner davanti a te, prima di tutto non lo consideri come un concorrente, ma come un fratello, con il quale abbiamo la convinzione comune che tutti siamo creati e amati da Dio. E quindi siamo tutti una grande famiglia. Ciascuno ne è membro e come membro di una famiglia ognuno cerca di aiutare l’altro a crescere.
Sul tema della tolleranza cos’hanno detto i rappresentanti musulmani?
Per loro la tolleranza è un altro modo di concepire l’amore per il prossimo. Per noi il prossimo è ogni altro uomo e donna del mondo, per loro è chi ti vive accanto. Non hanno la stessa nostra prospettiva universale.
Perché questo incontro è stato tanto importante, anche rapportato ad altre riunioni del genere?
Per la varietà dei partecipanti. È intervenuta anche gente dall’India e dalla Cina. C’erano 27 cinesi di differenti denominazioni religiose. E naturalmente non mancavano partecipanti dal Medio Oriente.
Lei ha detto recentemente che nel dialogo coi musulmani si sta sviluppando un’atmosfera di «grande fiducia».
Non direi «grande», ma senza dubbio registriamo miglioramenti nel dialogo. Il grande problema è che questo miglioramento nel clima non si riverbera ancora a livello di base. Le masse rimangono contrarie ai cristiani.
Come ritiene che il messaggio possa raggiungere la base?
Penso attraverso l’istruzione, passando per le scuole e le università. Nel modo in cui si insegna la storia e, naturalmente, anche da come insegni la tua religione e quella degli altri.
Ciò implica anche impegnarsi in gruppi politici e con i governi?
No. Quel che dobbiamo fare è aiutare i responsabili dell’educazione nei Paesi arabi ad avere un approccio più aperto alle altre religioni. Si tratta semplicemente di separare religione e politica, e qui sta uno dei difetti dell’islam. Al nostro incontro ad Astana, la presenza del presidente Peres all’inizio dei lavori mostra che c’è confusione tra politica e religione, ma ciò è praticamente inevitabile se si considera che nella dottrina islamica non c’è separazione tra il campo spirituale e quello temporale. Proprio per questo c’è sempre il grande pericolo di scivolare dalla religione alla politica.
L’iniziativa di re Abdullah sembra essersi affievolita. Perché?
Il problema è che ora spetta ai sauditi proporre ulteriori iniziative. Sono cose allo studio, abbiamo avuto alcuni contatti in proposito. Giorni fa, per esempio, il ministro degli Esteri saudita è venuto a Roma apposta per vedermi. Partito da Jeddah, ha trascorso un’ora con me e poi ha ripreso l’aereo da Ciampino per tornarsene a Jeddah.
Avete discusso di qualcosa di particolare interesse?
Sì, ma è confidenziale.
Si muove qualcosa in direzione della libertà religiosa in Arabia Saudita. L’anno scorso sembrava che ci fossero dei passi avanti, ma ora non se ne sa più nulla.
Purtroppo no.
In seno all’islam c’è la sensazione che la Chiesa potrebbe forse aiutare l’islam a trovare una via d’uscita alla sua crisi interna? È possibile che i leader religiosi musulmani possano guardare alla Chiesa come a una guida per risolvere i loro problemi?
Non che mi risulti. Anzi, molti semplici musulmani pensano che l’islam sia come un muro che protegge dalle degenerazioni del mondo esterno, la disfatta morale dei popoli dell’Occidente. Essi sono convinti di difendere Dio e la morale.
Non fanno differenze tra l’Occidente e la Chiesa?
No.
Qual è la sua impressione sul discorso pronunciato al Cairo da Barack Obama?
È un approccio nuovo ma dobbiamo tenere i piedi per terra e vedere quali risultati concreti produrrà. Il messaggio è buono e ispirante, ma se si chiede alla gente della strada in Palestina e Israele, vi dice che vuole vedere iniziative e risultati concreti. Sono stufi di promesse e parole.
La rende ottimista per il futuro delle relazioni tra Occidente e islam?
Sono consapevole della complessità dei problemi da risolvere. Non son certo che siamo già sui binari di un processo di pace. Direi che semmai stiamo ancora cercando di gestire la crisi.
Tema Iraq. Ritiene che i passi avanti sul piano del dialogo interreligioso possano continuare mentre assistiamo a nuovi attacchi ai cristiani?
Il dialogo interreligioso deve continuare, va rafforzato. Tuttavia dobbiamo riconoscere che abbiamo a che fare con un Paese completamente smembrato. Abbiamo visto gli attentati degli ultimi giorni. Come possiamo parlare di dialogo interreligioso in una situazione simile?
Tuttavia la maggioranza della popolazione non crea difficoltà, il problema sono i fondamentalisti.
Sì, certamente ci sono molti cristiani – l’arcivescovo (latino) di Baghdad (Jean Benjamin Sleiman) lo diceva questa mattina alla radio – che aiutano i loro connazionali musulmani. Non c’è problema. La maggioranza della popolazione irachena è molto accogliente, tollerante e aperta al dialogo. Il problema sono appunto questi gruppi che seminano violenza e terrore.
E il dialogo interreligioso sul terreno può contribuire a tenere le persone unite?
Sì, certo. C’è il dialogo della vita di tutti i giorni che è molto importante, il dialogo con il vicino della porta accanto.
Per finire quali sono le sue riflessioni sul recente pellegrinaggio del Papa in Terra Santa?
È stato un grande successo: altamente simbolico e di grande servizio alla pace e all’incontro tra uomini e donne di diverse tradizioni e posizioni politiche.
Sul versante del dialogo interreligioso ha già visto benefici derivanti da quel viaggio?
Sì, perché il Papa in molti discorsi ha sottolineato l’importanza del dialogo interreligioso e credo che il messaggio sia stato percepito molto chiaramente perché era indirizzato in modo appropriato ed espresso con pertinenza di contenuti. È ovvio che per questo Papa il dialogo interreligioso rappresenta una priorità del proprio pontificato.