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Questione di frecce

16/07/2009  |  Milano
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Questione di frecce
Pannelli stradali israeliani (foto: Yediot Ahronot/Roee Zukerman)

Ci sono le guerre combattute in maniera cruenta, come quella del gennaio scorso a Gaza, sulle cui atrocità nei giorni scorsi i rapporti di Amnesty International e di Breaking the Silence (l'ong formata da ex soldati israeliani) hanno gettato nuova luce. Ma ci sono anche guerre che rimangono più nascoste. Perché le armi con cui sono combattute hanno a che fare con i simboli e le identità. E non è detto che siano meno pericolose. Come mostra l'ultimo caso scoppiato in Israele, quello sui segnali stradali.


Ci sono le guerre combattute in maniera cruenta, come quella del gennaio scorso a Gaza, sulle cui atrocità nei giorni scorsi i rapporti di Amnesty International e di Breaking the Silence (l’ong formata da ex soldati israeliani) hanno gettato nuova luce. Ma ci sono anche guerre che rimangono più nascoste. Perché le armi con cui sono combattute hanno a che fare con i simboli e le identità. E non è detto che siano meno pericolose. Come mostra l’ultimo caso scoppiato in Israele, quello sui segnali stradali.

Qualche anno fa la Corte Suprema ha riconosciuto il diritto degli arabi israeliani (20 per cento della popolazione) a vedere tutelata la propria lingua. Così tutti i cartelli stradali in Israele oggi sono in tre lingue: ebraico, arabo e inglese. Il problema – però – è che per molte città il nome arabo è diverso da quello ebraico. L’esempio più noto: è quello di Gerusalemme, che gli ebrei chiamano Yerushalayim, mentre per gli arabi è al-Quds. Stessa identica città, due nomi diversi. Finora i cartelli stradali non avevano fatto altro che riportare il nome con cui ciascuno chiama ciascuna città. Ora però il ministro dei Trasporti Yisrael Katz, un esponente del Likud, ha deciso che bisogna cambiare: va bene tenere i cartelli in tre lingue (del resto avendolo detto la Corte Suprema non si può fare diversamente), ma le indicazioni in arabo e in inglese devono essere semplici traslitterazioni del nome ebraico. Katz ha preparato un piano che dovrebbe uniformare i nomi di ben 2.500 tra città, paesi e villaggi. Così, tanto per fare un altro esempio, Nazaret diventerebbe Natsrat.

Perché questa improvvisa furia toponomastica? Stando a un articolo e alcune foto riportate da Yediot Ahronot c’è una ragione oggettiva: negli attuali cartelli ci sono troppe varianti. Per esempio Cesarea appare in quattro diverse forme: Cesarea, Qesarya, Qesariyya e Ceysaria. Fin qui – dunque – siamo ancora al buon senso. Ma il problema arriva sull’arabo, dove la traslitterazione avrebbe un preciso significato politico. «Quasi tutte le comunità israeliane – ha spiegato lo stesso ministro Katz – hanno nomi precedenti. Alcune mappe palestinesi ancora oggi indicano le città israeliane con il nome che avevano prima del 1948, in modo da farle sembrare insediamenti. Non permetterò che questo succeda sui nostri segnali. Questo governo, e certamente questo ministero, non permetterà a nessuno di trasformare l’ebraica Gerusalemme nella palestinese al-Quds».

Ovviamente la cosa ha subito suscitato un vespaio di polemiche. Mohammed Barrakeh – che è uno dei deputati arabi alla Knesset – ha risposto al ministro Kats dicendo «che il potere gli ha dato alla testa… Vorrei ricordagli – ha dichiarato – che non può cambiare la natura di un posto. Lui passerà, mentre Shefa-‘Amr (una città araba nel nord di Israele – ndr) rimarrà». Lo stesso ministro per le minoranze Avishay Braverman, un laburista, ha criticato l’iniziativa del suo collega: «Suggerirei al ministro Katz – ha commentato – di dedicare attenzione ai segnali stradali che mancano nelle comunità arabe, piuttosto che uscirsene con queste idee». Ma l’esponente del Likud ha risposto che andrà comunque avanti.

Può sembrare una piccola storia, invece non lo è. Sono questo tipo di iniziative quelle che più infiammano gli animi nel conflitto. Questa voglia di cancellare ogni traccia dello sguardo dell’altro. Volete una riprova? Sui segnali stradali a Gerusalemme c’è qualcuno che si sta spingendo un po’ più avanti del ministro Katz. E a raccontarlo non è una fonte «palestinese» ma Forward, uno dei principali quotidiani ebraici americani. Proprio questa settimana ha pubblicato una reportage su un gruppo di ebrei che – a proprie spese – si occupa di riscrivere i nomi arabi sui cartelli delle vie: applicano delle scritte adesive per ripristinare i nomi che altri hanno cancellato con la vernice. È una forma di vandalismo del tutto particolare: il nome ebraico e quello in inglese rimangono, quello arabo invece sparisce (anche di questo il giornale fornisce le foto). Chiaro l’intento razzista di chi compie questo gesto: è un modo per dire che a Gerusalemme non c’è posto per gli arabi.

È la crescita del rifiuto delle identità plurali il segno più inquietante oggi in Medio Oriente. Un problema su cui un cartello stradale dice molto di più di mille parole. Vale per gli arabi. Ma anche l’idea di cancellare da un cartello la parola Nazaret per scrivere Nazrat – alla fine – non è un modo per negare il significato che per tanta gente nel mondo ha questa città?

P.S. Non c’entra nulla con il resto del discorso ma mi sembra utile oggi segnalare che – sempre su Yediot Ahronot – è uscito anche un articolo durissimo sul governo Netanyahu firmato dal grande opinionista Nahum Barnea. Nel mirino ci sono il premier e il ministro della Difesa Barak, gli «uomini di grande esperienza» che alla fine però non decidono mai nulla. «Non basta mangiare patate quarant’anni per trasformarsi in botanici». Si mette sempre peggio per questo governo israeliano, molto più fragile di quanto sembri.

Clicca qui per leggere l’articolo di Yediot Ahronot
Clicca qui per leggere l’articolo di Forward
Clicca qui per leggere l’articolo di Nahum Barnea

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