Spinte contrastanti attraversano i Paesi del Mediterraneo sul tema del ruolo della religione nelle pubbliche istituzioni. La stampa egiziana ha diffuso di recente la notizia secondo la quale il governo del Cairo starebbe studiando la possibilità di rimuovere, come è successo in Libano, la voce «religione» dalla carta d’identità. Sinora le uniche religioni «ammesse» sono: islam, cristianesimo ed ebraismo. Una vera discriminazione nei confronti dei bahai che si stanno battendo perché si torni al vecchio sistema quando avevano la facoltà di non compilare la dicitura «religione».
Adesso, si è probabilmente giunti ad un bivio. A un recente seminario dal titolo Il futuro della cittadinanza in Egitto, il responsabile della comunicazione del partito al potere nel Paese delle piramidi ha dichiarato che la decisione della Corte Suprema di rivedere la questione rappresenta un passo positivo verso la libertà religiosa. «L’idea potrebbe incontrare delle difficoltà – ha detto -, ma noi continueremo a lavorare per l’applicazione del concetto dell’uguaglianza fra tutti i cittadini egiziani».
Se una (auspicata) decisione in questa direzione potrebbe rappresentare un primo passo per sganciarsi dalle esigenze della sharia islamica per educare gli egiziani al concetto di cittadinanza, non si può non rimanere stupiti di fronte ai cedimenti di alcuni Paesi laici europei davanti a quelle stesse esigenze. A un incontro che ha riunito, ai primi di maggio a Milano, le comunità palestinesi d’Europa, mi sono sentito chiedere dal servizio d’ordine se avevo «chiesto il permesso di stare nella parte della platea riservata alle donne». Mai avrei pensato che l’islamizzazione della società palestinese, operata in particolare da Hamas nella Striscia di Gaza, fosse approdata sul nostro continente con tale fervore. Un attento esame attesta, invece, che a favorire tali comportamenti maschilisti sono talvolta le stesse istituzioni europee, in nome di un relativismo culturale e giuridico che apre varchi preoccupanti. Nel Regno Unito, ad esempio, i tribunali sharaitici possono ormai da anni deliberare in materia di diritto familiare. E recentemente il governo laburista di Gordon Brown ha di fatto avallato la poligamia riconoscendo gli assegni familiari ai musulmani poligami che si sono sposati in Paesi dove essa è permessa.
In Germania numerosi verdetti emessi dai tribunali tedeschi fanno riferimento a principi o consuetudini legate al diritto musulmano. Il 2 marzo scorso, un giudice di Essen ha stabilito che le allieve musulmane in Germania non possono essere costrette a partecipare alle lezioni di nuoto o a studiare la teoria dell’evoluzione «perché sono incompatibili con la loro religione». In un altro caso un giudice di Dortmund, citando un brano del Corano, ha stabilito che un padre musulmano può picchiare la figlia quindicenne che si rifiuta di indossare il velo, senza essere punito. Un altro giudice di Francoforte ha fatto riferimento ad un passaggio nel Corano che dà diritto a un marito di picchiare la moglie in quanto «sia la moglie che il marito sono musulmani». L’avanzata della sharia non si limita ai tribunali. In una scuola tedesca il direttore ha dato istruzioni ai professori maschi di non stringere la mano alle ragazze musulmane alla consegna dei diplomi. Spiegazione: «Nell’islam è illecito». Una spinta, questa, che raggiunge anche l’Italia. Nell’ottobre dell’anno scorso la Corte d’appello di Cagliari ha riconosciuto a un cittadino egiziano la validità del talaq, il ripudio che l’uomo compie verso la donna pronunciando tre volte una parola rituale.