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I due volti della Città Santa

fra Lesław Daniel Chrupcała ofm
15 luglio 2009
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I due volti della Città Santa

Passano i secoli ma la visione profetica della nuova Gerusalemme è ancora in grado di guidare e ispirare i credenti: il bene avrà la meglio sul male e la pace trionferà...


Oltre ai Vangeli sinottici e agli Atti degli Apostoli, gli altri libri del Nuovo Testamento non mostrano un grande interesse per Gerusalemme. Questa città è menzionata in essi soltanto 15 volte, ma in compenso assume un volto originale che trascende il lato puramente geografico e storico. (…) Gerusalemme, come fa capire anche il suo nome ebraico (Jerushalajim è una forma duale), costituisce una realtà bipolare; possiede infatti due volti diversi ma strettamente legati tra di loro: storico e trascendente, terreno e celeste, materiale e spirituale, temporale e mistico. La duplice dimensione della città santa è un concetto che si è radicato progressivamente nella tradizione ebraica, dalla quale è passato poi alla tradizione cristiana. (…)

La Gerusalemme celeste. L’autore della Lettera agli Ebrei ha tratto dalla storia biblica gli esempi di alcuni uomini credenti in Dio per presentarli ai suoi lettori come modelli da imitare. Fra questi spicca indubbiamente la figura di Abramo. Obbediente alla chiamata di Dio, egli è partito verso la Terra Promessa, dove conduceva però una vita da nomade e ramingo; in quella regione straniera infatti, che doveva prendere in possesso, abitava sotto le tende, sempre pronto a ripartire e cambiare posto. Egli si comportava in questo modo, perché «aspettava la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso» (Eb 11,10). Quella città non poteva essere la Gerusalemme terrena, la fortezza dei Gebusei, che più tardi Davide farà capitale del suo regno. Le città costruite dagli uomini sono fragili e spesso vanno in rovina, come più volte ha potuto sperimentare Gerusalemme nella sua storia. Invece la città del futuro, alla quale aspirava Abramo, è eterna e indistruttibile, dato che sorgerà secondo il progetto di Dio e da lui stesso sarà edificata. Per questo motivo è la Città di Dio: celeste, soprannaturale, invisibile, ma che merita pienamente la qualifica di vera e reale. Proprio questa città attendeva Abramo e gli altri Patriarchi dopo di lui, mentre vagavano per la Terra Promessa come stranieri e pellegrini, dirigendosi verso la patria celeste, perché lì doveva compiersi veramente la promessa di Dio.

La stessa idea si riflette nell’esortazione che più avanti l’autore della lettera indirizza ai cristiani: prendendo questa volta a modello Gesù, che per salvare il popolo ha patito fuori della porta della città, anche loro devono comportarsi in modo simile. «Usciamo dunque verso di lui fuori dell’accampamento, portando il suo obbrobrio, perché non abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura» (13,14). Per diventare partecipe dei beni salvifici, il vero discepolo di Gesù deve andare dietro a lui, mettersi con coraggio al suo fianco ed essere pronto a subire gli insulti insieme con lui. Ma questo sarà possibile a condizione che il cristiano esca, come Gesù, «fuori dell’accampamento», ossia quando egli si deciderà a lasciare tutto ciò che rappresenta per lui un surrogato di felicità, benessere e sicurezza. Questi beni sono illusori e instabili per natura, come le città costruite dall’uomo. I beni veri e duraturi si trovano infatti fuori della porta della città, dietro l’orizzonte della speranza umana. Ma per arrivare ad essi, è necessario vestire l’abito del pellegrino e sull’esempio di Abramo partire alla ricerca della città futura.

I cristiani, mentre compiono il loro pellegrinaggio di fede, hanno fin d’ora occasione di sperimentare, anche se in modo parziale e anticipato, la verità della promessa di Dio, che si sta attuando per loro nel raduno liturgico della Chiesa: «Voi vi siete accostati al monte Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, all’adunanza festosa, e all’assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli, al Dio… al Mediatore della Nuova Alleanza e al sangue dell’aspersione dalla voce più eloquente di quello di Abele» (12,22-24). La gioiosa celebrazione dell’agire salvifico di Dio nella storia, che si coglie in maniera particolare nell’Eucaristia, è una fonte continua di rinascita spirituale e di speranza per i pellegrini cristiani che con fede si dirigono verso la loro patria celeste (Fil 3,20a: «La nostra patria invece è nei cieli»).

La nuova Gerusalemme. Il libro dell‘Apocalisse si chiude con la scena cosmica della nuova creazione, al cui centro si trova la visione della nuova Gerusalemme. Come si ritiene, primi destinatari dell’Apocalisse erano i cristiani dell’Asia Minore, che verso la fine del I secolo sono stati sottoposti ad una ondata di persecuzioni a motivo della loro fede in Cristo. Il libro aveva perciò lo scopo di riversare la speranza nei loro cuori e di convincerli che il destino del mondo riposa nelle mani di Dio ed è proprio lui quello che alla fine riporterà la vittoria sulle forze del male.

«Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce che usciva dal trono: “Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo”» (Ap 21,2-3). Quando passerà il primo cielo e la prima terra, connessi con il peccato, la morte e il caos, ci sarà allora una nuova creazione e con essa la «nuova» Gerusalemme. Questa città degli ultimi tempi, escatologica, è opera esclusiva di Dio e dalla sua dimora celeste essa scende sulla terra. Il messaggio sembra chiaro: tra il cielo (Dio) e la terra (le creature), divisi dal peccato, sarà ristabilita l’originaria unione.

Gerusalemme, rivestita degli abiti di una «Sposa», da un lato si trova in opposizione alla «Prostituta» o alla città di Babilonia (capp. 17-18), metafora del mondo vecchio e corrotto; dall’altro invece essa raffigura la Chiesa unita con il Cristo: Agnello immolato e suo Sposo. Questa nuova Gerusalemme è chiamata a svolgere il ruolo del Tempio, in cui Dio dimorerà con gli uomini. Chiunque professa ora con coraggio la sua fede in Cristo («il vincitore»), può essere certo che nel futuro escatologico diventerà erede della nuova creazione nel rinnovato giardino dell’Eden (21,1-5: con le metafore di «un fiume d’acqua viva» e «un albero della vita»), in cui spariranno per sempre sofferenza, lacrime e morte. Questa promessa ha fatto Cristo all’«angelo della Chiesa di Filadelfia»: «Il vincitore lo porrò come una colonna nel Tempio del mio Dio e non ne uscirà mai più. Inciderò su di lui il nome del mio Dio, della Nuova Gerusalemme che discende dal cielo, da presso il mio Dio» (3,12).

Dopo le prime parole di introduzione il veggente dell’Apocalisse offre una descrizione più precisa della Fidanzata, Sposa dell’Agnello: «L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio… La città è cinta da un grande e alto muro con dodici porte… Le mura della città poggiano su dodici basamenti… La città è a forma di quadrato, la sua lunghezza è uguale alla larghezza… Le mura sono costruite con diaspro e la città è di oro puro, simile a terso cristallo. Le fondamenta delle mura della città sono adorne di ogni specie di pietre preziose» (21,10-19).

In questa visione fantasmagorica si susseguono delle immagini che servono ad esprimere la bellezza, la purezza e la perfezione della Gerusalemme nuova. Le mura della città – un segno della presenza di Dio – non svolgono di per sé funzioni difensive, dato che «le sue porte non si chiuderanno mai» (v. 25). Esse devono soltanto separare la città santa dal luogo della condanna, che si trova al di fuori (vv. 8.27; 22,15). Le porte aperte dimostrano che nella città di Dio ognuno ha la possibilità di entrare, ma non tutti entrano; infatti, l’ingresso dipende da un previo processo di purificazione (22,14).

La funzione primaria delle dodici porte, tre ad ogni lato della città, è quella di facilitare l’entrata dei re e delle nazioni, che porteranno in essa le loro ricchezze. Sopra le porte sono scritti i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele (21,12), mentre sopra i loro basamenti si vedono scritti i nomi dei dodici apostoli dell’Agnello (v. 14): questo sta a significare che esiste una continuità tra il vecchio e il nuovo Israele, tra la prima e l’ultima alleanza.

Le dimensioni inverosimili esprimono la grandezza (v. 17: il muro misurava 144 braccia di altezza) e la perfezione (v. 16: la forma di un quadrato) della città. Le pietre preziose, di cui sono incastonate le sue mura (vv. 18-21), potrebbero far girare la testa a qualunque orefice o gioielliere. Stupore suscita anche il fatto che la città non ha un tempio e questa carenza è spiegata dal veggente: «Non vidi alcun tempio in essa, perché il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio» (v. 22). La città santa non necessita neppure della luce naturale: «La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna, perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello» (v. 23). Gli abitanti, avvolti dallo splendore della gloria di Dio, possono sentirsi davvero sicuri, dal momento che nella città, seppure aperta a tutti, hanno il permesso di entrare soltanto quelli «che sono scritti nel libro della vita dell’Agnello» (v. 27).

La visione escatologica della Gerusalemme nuova non ha perso nulla del suo vigore originario ed è sempre attuale. I cristiani perseguitati nel I secolo sentivano un forte bisogno di speranza e di conforto per vivere in un mondo ostile, che procurava loro sofferenza e morte. Nonostante il passare dei secoli la visione profetica della nuova Gerusalemme è ancora in grado di guidare, ispirare e di infondere fiducia a coloro che in misura diversa sono costretti a fronteggiare la crudeltà e l’avversità di un ambiente nemico, che calpesta la città santa (11,2-8). Ma l’uomo di fede cammina senza timore sulle strade del presente e con speranza guarda il futuro, perché ripone la sua fiducia in Dio che certamente riuscirà a difendere «la città diletta» (20,9), trionferà sul male, distruggerà il caos, il dolore e la morte, e alla fine farà in modo che l’esistenza pacifica in amore fraterno, senza barriere e discriminazioni di sorta, cessi di essere soltanto un oggetto di sogni illusori o di false promesse, ma diventi invece una realtà sperimentabile da tutti.

 

(Questo brano è stato tratto dal recentissimo volume di padre Daniel Chrupcala Gerusalemme città della speranza, Edizioni Terra Santa, Milano 2009, 23,50 euro)

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