Intensa e raccolta, com'era logico che fosse, la sosta del Papa e del suo seguito al Memoriale dell'Olocausto, a Gerusalemme, lo Yad Vashem. La cerimonia si è articolata secondo una regia meticolosa, fatta di canti, silenzi, ascolto di testimonianze dal passato, ricordo di tante sofferenze e lotte. Nel suo intervento il Papa ha svolto una meditazione sul nome, a partire dal «significato profondo di questo luogo venerato: yad - "memoriale"; shem - "nome"». «Sono giunto qui - ha detto Ratzinger - per soffermarmi in silenzio davanti a questo monumento, eretto per onorare la memoria dei milioni di ebrei uccisi nell'orrenda tragedia della Shoah. Essi persero la propria vita, ma non perderanno mai i loro nomi».
(g.s./e.p.) – Intensa e raccolta, com’era logico che fosse, la sosta del Papa e del suo seguito al Memoriale dell’Olocausto, a Gerusalemme, lo Yad Vashem.
Coordinata da una voce guida, la cerimonia si è articolata secondo una regia meticolosa: prima il canto di un coro di giovani voci, poi l’atto di ravvivare la fiamma che arde perenne e con il quale i presenti si sono raccolti a rendere omaggio alle vittime dello sterminio nazista e alle comunità ebraiche annientate, ma anche al coraggio di chi oppose resistenza, ai giusti fra le nazioni, che salvarono la vita degli ebrei, e a tutta la nazione ebraica che salvaguarda il retaggio dei padri. È seguita la posa di una corona di fiori da parte del Papa, poi la lettura di una lettera di un internato ai suoi cari, il canto di un rabbino, il saluto personale di Benedetto XVI ad alcuni sopravvissuti alla Shoah. Solo a questo punto il Papa ha preso la parola. Al termine del suo discorso, il rabbino Israel Meir Lau, presidente del consiglio dello Yad Vashem, ha offerto al Papa una copia di un quadro dell’artista ebreo Felix Nussbaum (morto ad Auschwitz nel 1944), opera che raffigura quattro ebrei in preghiera in una sinagoga di fortuna allestita in un campo di concentramento. Il Papa ha poi apposto la sua firma sul libro degli ospiti illustri, facendola precedere da una frase tratta dal Libro delle Lamentazioni: «Non sono esaurite le sue misericordie!». Il coro ha intonato un altro canto meditativo, subito seguito dall’inno nazionale israeliano, che ha concluso la cerimonia.
L’intervento pronunciato dal Papa è stato una meditazione sul nome, a partire dal «significato profondo di questo luogo venerato: yad – “memoriale”; shem – “nome”».
«Sono giunto qui – ha detto Ratzinger – per soffermarmi in silenzio davanti a questo monumento, eretto per onorare la memoria dei milioni di ebrei uccisi nell’orrenda tragedia della Shoah. Essi persero la propria vita, ma non perderanno mai i loro nomi: questi sono stabilmente incisi nei cuori dei loro cari, dei loro compagni di prigionia, e di quanti sono decisi a non permettere mai più che un simile orrore possa disonorare ancora l’umanità. I loro nomi, in particolare e soprattutto, sono incisi in modo indelebile nella memoria di Dio Onnipotente. Uno può derubare il vicino dei suoi possedimenti, delle occasioni favorevoli o della libertà. Si può intessere una insidiosa rete di bugie per convincere altri che certi gruppi non meritano rispetto. E tuttavia, per quanto ci si sforzi, non si può mai portar via il nome di un altro essere umano».
«I nomi custoditi in questo venerato monumento – ha proseguito il Papa – avranno per sempre un sacro posto fra gli innumerevoli discendenti di Abraham. Come avvenne per Abraham, anche la loro fede fu provata. Come per Giacobbe, anch’essi furono immersi nella lotta fra il bene e il male, mentre lottavano per discernere i disegni dell’Onnipotente. Possano i nomi di queste vittime non perire mai! Possano le loro sofferenze non essere mai negate, sminuite o dimenticate! E possa ogni persona di buona volontà vigilare per sradicare dal cuore dell’uomo qualsiasi cosa capace di portare a tragedie simili a questa! La Chiesa cattolica, impegnata negli insegnamenti di Gesù e protesa ad imitarne l’amore per ogni persona, prova profonda compassione per le vittime qui ricordate. Alla stessa maniera, essa si schiera accanto a quanti oggi sono soggetti a persecuzioni per causa della razza, del colore, della condizione di vita o della religione – le loro sofferenze sono le sue e sua è la loro speranza di giustizia. Come Vescovo di Roma e Successore dell’Apostolo Pietro, ribadisco – come i miei predecessori – l’impegno della Chiesa a pregare e ad operare senza stancarsi per assicurare che l’odio non regni mai più nel cuore degli uomini. Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe è il Dio della pace (cfr Sal 85,9)».
Abbiamo chiesto a padre David M. Jaeger, francescano di origini ebraiche e delegato della Custodia di Terra Santa per l’Italia, un breve commento al discorso. Per Jaeger s’è trattato di «una bellissima riflessione che va al cuore della questione, il cuore di cosa significhi ricordare, che è negare il progetto di annullamento perseguito dall’assassino». «Rimango perplesso – dice il religioso – davanti a certi discorsi di negazione dell’Olocausto. Il negazionismo è il gioco osceno di persone eccentriche. Concentrandosi così tanto su coloro che negano l’Olocausto, si dà l’impressione che quella sia un’opzione possibile. Si contrasta un ripudio solo se esso è plausibile, ma non c’è nulla di plausibile nel negare l’Olocausto, c’è solo follia. Non si tratta di negare, ma invece di ricordare e il discorso del Papa è stato appunto una meditazione bellissima sul ricordo».