Leggendo quanto in questi giorni in Israele e in Giordania i giornali scrivono sulla visita del Papa in Terra Santa che inizia oggi, balzano all'occhio due atteggiamenti completamente diversi: mentre nel regno hashemita si fa di tutto per sottolineare le speranze riposte in questa visita, a Gerusalemme e a Tel Aviv prevale un atteggiamento sulla difensiva. Diamo un'occhiata ad alcuni importanti quotidiani dei due Paesi.
Leggendo quanto in questi giorni in Israele e in Giordania i giornali scrivono sulla visita del Papa in Terra Santa che inizia oggi, balzano all’occhio due atteggiamenti completamente diversi: mentre nel regno hashemita si fa di tutto per sottolineare le speranze riposte in questa visita, a Gerusalemme e a Tel Aviv prevale un atteggiamento sulla difensiva.
Certo, anche ad Amman ci sono state le voci dei fondamentalisti secondo cui Benedetto XVI prima di arrivare in Giordania dovrebbe «scusarsi» per il discorso di Ratisbona. Voci puntualmente amplificate sui nostri giornali. Ma basta scorrere il principale quotidiano del Paese, il Jordan Times, per trovare accenti completamente opposti. L’editoriale di oggi è un articolo estremamente significativo per un Paese musulmano. Perché non dice solo – genericamente – che la visita del Papa può aiutare la pace. Dice anche che la presenza di Benedetto XVI ha qualcosa di importante da dire al mondo musulmano. «La visita del Papa – si legge – deve ricordarci che occorre dare più spazio nella nostra vita quotidiana alla religione e alla spiritualità, imparando dagli insegnamenti che essa predica sulla pace, la riconciliazione, la compassione e l’amore per il prossimo». Certo – si dirà – il Jordan Times, è un quotidiano governativo in cui ogni giorno appare in prima pagina una grande foto del re: dunque quello che scrive è l’auspicio di chi questa visita l’ha organizzata. Vero. Però è un dato di fatto che quanto le autorità giordane stanno facendo intorno a questo viaggio del Papa va decisamente al di là di una semplice cortesia istituzionale. E credo che le immagini che – da oggi pomeriggio – inizieranno ad arrivare da Amman proveranno quanto in realtà le posizioni espresse dai Fratelli musulmani siano minoritarie nella società giordana.
In Israele – invece – il clima è molto diverso. Ovviamente anche qui il clima istituzionale è cortese. Ma nella società si avverte una certa diffidenza verso il Papa. Solo un atteggiamento del genere può spiegare – ad esempio – la vera e propria isteria scatenatasi sulle presunte «rivendicazioni del Vaticano sui Luoghi Santi». Non ne parlano più, ormai, solo i siti legati ai coloni: anche su grandi quotidiani appaiono articoli come quello che rilanciamo da Yediot Ahronot, in cui un esponente del rabbinato parla di una fantomatica lista di «28 luoghi santi di Gerusalemme e 19 della Cisgiordania che il Vaticano vorrebbe sotto il suo controllo». Qui siamo alla disinformazione pura. L’unico brandello di verità è il fatto che nella commissione che sta negoziando sull’attuazione degli accordi bilaterali tra Israele e la Santa Sede uno degli argomenti in discussione è lo status del Cenacolo – un unico luogo dunque – che Israele controlla dal 1967 e dove non permette nemmeno che venga celebrata alcuna funzione liturgica, perché al piano inferiore c’è un cenotafio che è ritenuto dagli ebrei ortodossi la tomba di Davide.
L’ironia della sorte è che l’identificazione (molto improbabile) di quella tomba si deve a fonti cristiane: nei primi secoli, infatti, le comunità giudeo-cristiane videro nel Cenacolo la Nuova Sion e proprio per sottolineare la continuità tra le due alleanze in questo luogo cominciarono a far memoria anche del profeta Davide. Dunque si tratta di una vicenda molto complessa, come quella del regime fiscale (ovviamente non la sovranità) di tutti gli altri luoghi santi cristiani. Comunque legare la visita del Papa ai lavori della commissione è un’altra forzatura: di queste cose si parlava già nel 2000 quando venne Giovanni Paolo II… Eppure tanto basta per far circolare a Gerusalemme l’idea che il viaggio rientra in un’«offensiva vaticana».
Non c’è, però, solo la questione della commissione. Un altro articolo, uscito sul Jerusalem Post con l’altezzoso titolo «Il Papa, la Terra Santa e la verità», fa le pulci preventivamente a quello che Benedetto XVI potrebbe dire a Israele sul conflitto. E così si premura di dire che – se il Papa vuole dire la verità – deve sconfessare pubblicamente il cardinale Renato Raffaele Martino per tutto quello che ha detto sulla guerra a Gaza. E, comunque, il Pontefice deve lasciar stare Israele: se la prenda piuttosto con l’Iran che non lascia libertà di religione ai Bahai… Un po’ più serio – ma sempre sulla linea della difensiva – Haaretz che affronta quello che probabilmente per l’israeliano medio è il motivo di maggiore interesse di questo viaggio: la visita del Papa tedesco allo Yad Vashem. Qui l’intervista è al direttore dell’istituzione commemorativa della Shoah – Avner Shalev – che si dice sicuro che Benedetto XVI condannerà l’antisemitismo sia passato sia presente.
Come guardare a questa diffidenza di fondo? È il frutto di un clima intossicato da troppi veleni circolati in questi ultimi mesi. Ma non c’è da strapparsi le vesti: già nel 2000 Israele dimostrò la capacità di lasciarsi sorprendere da Giovanni Paolo II, una volta ascoltate le sue parole e visti i suoi gesti. Siamo assolutamente convinti che anche con Benedetto XVI succederà la stessa cosa.
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